«Cari genitori», educhiamo i figli all’amore e non al possesso
Ogni mercoledì la rubrica «Cari genitori», curata da Giuseppe Pino Maiolo, propone pillole di riflessione educativa, che potranno partire da una notizia di attualità.
Cari genitori. Le ultime donne, Sara e Ilaria, uccise ancora una volta da maschi che, come si dice comunemente, uccidono per amore, ci impongono di fermarci a riflettere.
Oggi allora voglio rivolgermi più ai padri, a tutti i padri di piccoli maschi: «Cos’è secondo voi, cari papà, che porta un maschio, un ragazzo ad ammazzare l’ex ragazza o quella che desidera? Crediamo davvero che la tormenti per amore? Pensiamo che la gelosia sia un morbo generato dal rifiuto o dal tradimento e possa armare un mano assassina?».

«Non si uccide per amore, ma l’amore centra» dice Lea Melandri. E intende che non si tratta di leggere il femminicidio solo come patologia, anche se spesso in questi maschi c’è l’incapacità di governare le emozioni. Ma è necessario riconoscere a quali modelli culturali d’amore ci riferiamo coi lucchetti sui ponti o con quella romantica immagine di «due cuori e una capanna».
Il possesso con-fuso con l’amore
Forse lì già l’amore è un surrogato. O piuttosto il perimetro chiuso del possedimento, il luogo della fusione dove l’altro non c’è, il possesso con-fuso con l’amore. Non è pensabile che se ami una persona tu la voglia eliminare. L’amore è unione di due, non una simbiosi e la gelosia non è la verifica di quanto ti amo. L’amore è presenza, confronto, relazione.
Allora, cari papà, proviamo a educare all’amore prima ancora che alla sessualità, alla relazione e alla cura per prevenire la violenza sulle donne. Educhiamo alla tenerezza che è un’emozione ricca, sottile, evanescente, come diceva Eugenio Borgna, psichiatra e grande maestro. Non è debolezza o carattere molle. Nemmeno effeminatezza, come qualcuno teme.
La tenerezza nei maschi forse ci fa paura, ma è l’esatto contrario della forza bruta, della violenza che fa guerreggiare. È saper ascoltare l’altro ed esserci. I nuovi padri che hanno gettato la corazza per abbracciare i figli, li sanno curare e hanno capito che la tenerezza è sguardo, sorriso, coccole, pensiero di attenzione. E poi anche attesa, fiducia, speranza. Non un fare, ma un «essere» da allenare.
L’educazione
Educare alla tenerezza allora è compito paterno, distante dalla cultura patriarcale. Significa farla emergere nei maschi perché c’è già, ma poi bisogna consentirla. E questo è facile coi piccoli. Quando però i figli crescono va insegnata. Cioè bisogna lasciare il segno, ed essere come maschi adulti, modelli di riferimento per la tenerezza, farla vedere insomma. Ma anche apprezzarla più dei muscoli e della forza. Più della competitività.
Questo però è più difficile con gli adolescenti che pensiamo debbano primeggiare sempre e non cadere mai. Ma è possibile. Eppure questa può essere la prevenzione. Ovvero da dove cominciare.
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