«Cari genitori», educare alla memoria per non dimenticare
Ogni mercoledì la rubrica «Cari genitori», curata da Giuseppe Pino Maiolo, propone pillole di riflessione educativa, che potranno partire da una notizia di attualità.
Oggi voglio soffermarmi sull’importanza del ricordare. Prendo lo spunto dalla giornata annuale della memoria quella del 27 gennaio che ogni anno riporta al centro dell’attenzione l’Olocausto e sottolinea l’urgenza di non dimenticare.
Sostengo con forza che il verbo ricordare, il quale deriva dal latino re-cordis, indica i sentimenti che si «richiamano nel cuore» e la stretta connessione esistente tra emozioni e esperienze. I ricordi, nel bene o nel male, danno significato all’esistenza, la definiscono o ne tracciano la sofferenza e il ricordare può aiutarci, anche se lentamente, a trasformare il dolore che imprigiona. Se manca la memoria, la vita stessa ne è sconvolta e svuotata di senso.
Educare al ricordare
Allora dico ai genitori, ai nonni, agli zii, alla comunità educante che è importante narrare la memoria, raccontarla a voce alta come dicono oggi le neuroscienze, educare al ricordare ed esprimere quello che sentiamo dentro. In ogni forma di violenza tacere e dimenticare non aiuta nessuno, anzi rinforza la catena della sofferenza. La memoria serve per uscire dal silenzio e dalla vergogna.
Ogni volta che nella consulenza agli adolescenti, incontro giovani che non ricordano o sanno dire poco della loro vita passata e dell’infanzia, mi preoccupo. Penso che stanno vivendo relazioni povere, dove prevale il silenzio e la mancanza delle parole che narrano i sentimenti, dove la comunicazione è rimasta superficiale, vuota o addirittura assente.
Scriveva il filosofo George Santayana che «Quelli che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo». Una frase diventata famosa, perché messa come iscrizione all’entrata nel campo di concentramento di Dachau.
Direi che educare, allora, vuol dire anche allenare la memoria a trattenere il tempo e a ricordare la storia che c’è stata, a non dimenticare le sofferenze nostre e altrui e a raccontare il dolore che le nuove generazioni faticano a gestire. È la memoria del male che ci aiuta a contenere la malvagità umana.
Servono di certo le giornate celebrative, le immagini dell’orrore e le conferenze sull’Olocausto, ma può non bastare una memoria episodica. Dobbiamo essere attrezzati per saper fronte a ogni forma di cattiveria e di perversione e soprattutto all’indifferenza.
Da analista ricordo che in analisi ciò che aiuta è il dissotterrare la memoria, ma poi è una nuova narrazione che salva e fa uscire dalla sofferenza. Con i ricordi non si cancella ciò che è accaduto ma si può trasformare e si trovano le «controparole» che possono servire come antidoto al male.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato
@Buongiorno Brescia
La newsletter del mattino, per iniziare la giornata sapendo che aria tira in città, provincia e non solo.