«Cari genitori», come stare accanto ai figli nello sport

Essere tifosi dei propri figli sì, ma senza diventare ultras. Nello sport i genitori devono sostenere senza sostituirsi all’allenatore e senza caricare i ragazzi di aspettative e pressioni
«Cari genitori», come stare accanto ai figli nello sport
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Ogni mercoledì la rubrica «Cari genitori», curata da Giuseppe Pino Maiolo, propone pillole di riflessione educativa, che potranno partire da una notizia di attualità.

Cari genitori, qualche giorno fa ha colpito molto la decisione di una società sportiva di un paese bresciano di sospendere dagli spalti la tifoseria abituale, fatta generalmente di genitori e familiari.

Le ragioni? I comportamenti scorretti fuori e dentro al campo e la necessità di mandare un segnale per migliorare il rapporto tra sport e famiglia. Mi pare un’iniziativa apprezzabile, ma proviamo ad affrontare un po’ il ruolo dei genitori nello sport.

Il ruolo dei genitori

Partiamo col dire che lo sport è scuola di vita in quanto educazione alle regole e al rispetto degli altri. È sviluppo di comportamenti leali e responsabilità, di fiducia, autostima e determinazione personale. Nell’attività sportiva dunque, i genitori possono fare da guida, supporto, ma anche essere esempio di comportamenti corretti da seguire e con cui sviluppare i propri talenti sportivi

Non c’è nulla di male nel desiderare un figlio campione, ma chiediamoci quanto sia una proiezione delle personali aspettative per ciò che non siamo riusciti a fare. Se queste attese sono eccessive possono togliere il piacere dello sport.

Allora cari genitori, evitate tutto questo ma non aspettatevi neanche la perfezione dai vostri figli in quanto questo produce paura di fallire, insicurezza e soprattutto timore di essere sempre giudicati negativamente.

Viceversa insegnate loro ad accettare gli sbagli come cadute da cui è possibile rialzarsi. Il tifo lo si può fare in quanto espressione di partecipazione emotiva alla competizione, ma evitate di pensare che gli errori siano sempre degli altri, dei compagni di squadra o dell’arbitro. Si rischia di diventare ultras dei propri figli.

Il genitore-allenatore

Poi non sostituitevi all’allenatore, ma sostenete il suo lavoro e che ognuno faccia la propria parte. Il genitore-allenatore non è assolutamente augurabile. Tende a non essere obiettivo perché di solito non sa considerare in maniera adeguata le tappe evolutive e lo sviluppo psico-motorio. Meglio allora restare lontani dallo spazio di allenamento, soprattutto se è difficile gestire reazioni e emozioni. Partecipate alle competizioni dei figli, ma cercate di intervenire il meno possibile e lasciate fare, accettando che sbaglino.

Ricordate che s’impara molto dai fallimenti e dalle frustrazioni così come dal dover pagare per gli errori. Aiutateli invece a gestire le loro emozioni e promuovete un corretto agonismo che è cooperazione e accettazione degli insuccessi. Come genitori date il giusto peso a vittorie e sconfitte, spingete i figli ad esprimere il massimo possibile, ma siate sempre orgogliosi di quello che raggiungono.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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