Attacco decisivo contro Epatite C e Aids
Nella cura dell’epatite C serve una rivoluzione. Che è, innanzittutto, di carattere culturale, perché richiederebbe una classe medica in grado di selezionare le persone che potrebbero aver contratto il virus HCV ed indurle ad eseguire esami diagnostici per verificare se è effettivamente così.
Ma è anche di politica economica: una migliore redistribuzione delle terapie permetterebbe ad un numero maggiore di persone di curare la malattia in fase precoce, evitando «onerose» complicanze quali cirrosi e tumore al fegato. Invece, in Italia il Servizio nazionale garantisce la cura all’1.6% degli infetti.
In Francia, per fare un esempio, ne viene curato il 16%. Si calcola che nel nostro Paese un milione di persone sia portatrice cronica di infezione da virus di epatite C e che, di questi, si stima che circa un terzo abbia sviluppato importanti malattie del fegato.
E se per l’epatite C l’ambizioso obiettivo è quello dell’eradicazione, per l’Hiv, virus responsabile dell’Aids, già da tempo di parla di cronicizzazione della malattia. Un traguardo certo importante, ma che presenta anche l’altro lato della medaglia, che è quello dell’abbassamento della guardia negli atteggiamenti di prevenzione. Due traguardi possibili grazie alle nuove terapie che, negli ultimi anni, hanno modificato lo scenario terapeutico delle due infezioni. Oggi chi ha l’epatite C oppure è sieropositivo, può contare su un’aspettative di vita impensabile anche solo quindici anni fa.
«Non c’è dubbio che se potessimo curare con farmaci facilmente somministrabili e poco costosi tutti i pazienti con Epatite C in fase precoce avremmo tre importanti benefici.
Primo, un elevato tasso di guarigione, in quanto è più difficile guarire per i pazienti anziani con complicanze.
Secondo, una contrazione del serbatoio di pazienti infetti che ancora alimenta, sebbene saltuariamente, la trasmissione dell’Epatite C nell’ambiente attraverso rapporti sessuali, condivisione di strumenti di igiene personale e sanitari e rari casi di trasmissione madre-figlio. Questo intervento sarebbe ancora più benefico nelle comunità dei tossicodipendenti attivi.
Terzo beneficio, il più importante, si potrebbe limitare l'impatto sociale ed economico che comportano le cure delle complicanze quali cirrosi, ipertensione portale, carcinoma epatico e trapianto di fegato» sostiene Massimo Colombo, direttore del Dipartimento di Medicina specialistica e Trapianti d’organi all’Ospedale Maggiore di Milano e Università degli Studi, intervenuto alla presentazione della sesta edizione del premio giornalistico «Riccardo Tomassetti» dedicata alla ricerca, all’innovazione e alle future prospettive nel campo della Virologia. Il premio è promosso dal Master di 1° livello «Le Scienze della vita nel giornalismo e nei rapporti politico-istituzionali» della Sapienza di Roma e sostenuto da Msd Italia (dettagli sul sito www.premiotomassetti.it).
«È stato calcolato che per abbattere in modo significativo la mortalità da epatite C nei prossimi venti anni con un ritorno in termini di costo/efficacia, dovremmo trattare il 75% degli infetti utilizzando un regime terapeutico che garantisca il 75% delle guarigioni - aggiunge Colombo-. Questo scenario è ovviamente non realistico in quanto attualmente non disponiamo di una terapia che guarisca una percentuale così alta di popolazione infetta. Di fatto, l'attuale regime terapeutico duale (interferone/ribavirina) e triplice terapia (interferone/ribavirina/antivirali diretti) non possono essere applicati a tutti gli infetti, per non parlare dei costi della strategia di eradicazione che richiede investimenti molto elevati».
Se un paziente non viene trattato ed ha la fortuna di non aver sviluppato una malattia progressiva potrà convivere con il virus senza grossi problemi per la qualità e la durata di vita. In circa il 30% dei casi però l’epatite C determina cirrosi e questa, a sua volta, complica in scompenso e tumore. Lo stesso trapianto di fegato indicato per salvare i pazienti accuratamente selezionati garantisce una sopravvivenza a 5 anni del 75%.
Anche nel caso dell’Aids l’imperativo resta quello di iniziare le terapie prima possibile e oggi lo si può fare grazie a farmaci sempre più efficaci e con un profilo migliore in termini di tollerabilità e interazione con altri farmaci.
Anna Della Moretta
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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