Contro il cyberbullismo? «Dieta tecnologica e dialogo»
Il figlio torna a casa. «Com’è andata a scuola?» La risposta la conoscono tutti. Quel «bene...», che in fondo vuol dire tutto e non vuol dire nulla. Perché magari il bambino in questione, quando gioca con i coetanei, tende ad avere atteggiamenti aggressivi. Che potrebbero venir sottovalutati. E non dovrebbero. Così come non dovrebbe venir automaticamente attribuito ad un’ondata d’influenza quel mal di pancia che lo blocca la mattina, e lo fa restare a letto: «Mamma, oggi a scuola non vado».
Anche queste situazioni di vita quotidiana sono state prese in esame nell’incontro svoltosi ieri in sala Libretti, al Giornale di Brescia, moderato da Massimo Lanzini del GdB, con protagonista lo psicoterapeuta Giuseppe Maiolo, che da tempo collabora anche con il nostro quotidiano, specie su temi legati all’infanzia e all’adolescenza.
Maiolo ha parlato sulla scorta del recente libro «Mio figlio tra bullismo e cyberbullismo: vittima, bullo o complice?» (Giunti Edu, 120 pp., 12 euro). Chi è il bullo? Per Maiolo «una persona ben organizzata, che aggredisce con intenzione e stabilisce con le vittime una relazione di potere». La vittima? «Colui il quale subisce e non si difende, temendo addirittura ripercussioni a fronte di una propria ribellione». Ma il complice? «Anche un tempo c’era la figura di chi stava a guardare, che rideva o che addirittura "aiutava"».
Ma oggi il complice «ha una funzione più precisa, perché clicca, mette "mi piace" sui social network, sostiene in una sorta di "televoto" e ricompensa il bullo per il suo essere tale». Quest’ultimo ne guadagna in popolarità, ma - in casi estremi - può pure monetizzare. In tutto questo si inserisce un ragionamento che ha a che fare con le neuroscienze. In giovane età, i ragazzi percepiscono l’adrenalina delle proprie azioni, ma non hanno reti cognitive sufficientemente sviluppate per rendersi conto degli effetti.
Le parole, le linee guida per la comunità adulta sono tre: conoscere, capire, intervenire. E quindi non fermarsi a chiedere come sia andata a scuola. Togliere il cellulare (nelle mani dei bambini ormai dai 7 anni e mezzo in poi)? Sarebbe come levare l’acqua a un pesce. Meglio una dieta tecnologica e un controllo, sì, anche del cellulare, pure attraverso meccanismi e tecnologie di parental control che danno indicazioni circa gli orientamenti e le curiosità dei figli. La prevenzione a livello scolastico? Oggi alle superiori e alle medie è più che mai tardiva. Di buoni comportamenti legati ai rapporti interpersonali e di giusto utilizzo della rete bisogna iniziare a parlare alle elementari.
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