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Le Comunità energetiche ancora faticano ad accendersi

Oggi in Italia sono solo 35. Giuliano (Università Cattolica): «Pesano molto la bassa cultura sul tema e i nodi tecnico-giuridici»
Il fotovoltaico è la principale fonte rinnovabile alla base delle Comunità energetiche - © www.giornaledibrescia.it
Il fotovoltaico è la principale fonte rinnovabile alla base delle Comunità energetiche - © www.giornaledibrescia.it
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Uno studio del Politecnico di Milano stima che nel 2025 vi saranno circa 40.000 Comunità energetiche rinnovabili attive in Italia, mentre il contributo del Gestore dei servizi energetici (Gse) a favore delle Cer permetterebbe l’installazione di circa 5 gigawatt di fotovoltaico entro il 2030.

Tuttavia, per traghettare la società da un regime energetico centralizzato ad un modello distribuito e collaborativo (che è quanto auspicato dalla Commissione europea) «non bastano tecnologia e mercati, serve una visione in cui sia la società civile ad avere un ruolo cruciale».

Ne è convinta Francesca Giuliano, ricercatrice al primo anno del dottorato in Istituzioni e politiche alla Cattolica di Milano, la cui ricerca «Power to the people» - supervisionata dal prof. Roberto Zoboli dell’Alta scuola per l’Ambiente della Cattolica - è tra quelle sostenute dal Programma operativo nazionale (Pon) e finanziate dal Pnrr sui temi degli effetti dello European Green deal.

L’obiettivo? Individuare gli ostacoli frapposti allo sviluppo delle Cer, il cui superamento favorirebbe la costituzione di coalizioni di utenti-consumatori (cittadini, imprese, enti pubblici) in grado di produrre e condividere energie elettrica «fatta in casa» da fonti energetiche rinnovabili, massimizzando l’autosufficienza energetica. I benefici sarebbero immensi: da quello meramente economico alla salvaguardia ambientale, per non parlare dell’indipendenza da Paesi e mercati rispetto all’approvvigionamento di gas o combustibili (pandemia e guerra insegnano).

Tutto questo si potrebbe raggiungere grazie al fotovoltaico - la cui tecnologia semplice si candida ad essere installata su qualunque tetto o copertura - ma anche con l’eolico o l’idroelettrico. Eppure, nonostante il sociologo ed economista Jeremy Rifkin l’abbia definita «la terza rivoluzione industriale», Legambiente dice che oggi in Italia esistono solo 35 Cer operative (20 nel 2021).

I problemi

Come è possibile? «La vera questione è l’assenza di cultura energetica, che rende l’accettabilità sociale e economica delle Comunità energetiche il vero scoglio da superare. Le persone faticano ad entrare nell’ottica di qualcosa che non conoscono» spiega la ricercatrice.

Non mancano poi i nodi di carattere tecnico e giuridico: «La normativa regionale è presente solo in alcune aree italiane (la Lombardia ha da pocco approvato una legge ad hoc ndr), e per questo si rimanda a quella nazionale/europea che però ad oggi presenta parecchi spazi interpretativi» nota Giuliano. Inoltre «è solo recentemente che le configurazioni delle Cer sono state inserite all’interno dei regolamenti europei».

Il riferimento è al Clean energy for all europeans (anche conosciuto come Winter Package) presentato nel novembre 2016 e considerato l’avvio di un percorso di sviluppo delle comunità energetiche a livello comunitario, le cui regole tecniche sono però state formalizzate solo ad aprile 2022.

Qualcosa si muove

Nel frattempo, in attesa che la società superi il muro della diffidenza e il legislatore si adegui, il mondo finanziario e la politica Ue si sono già mosse. «Un grande impulso allo sviluppo delle Comunità energetiche viene dai fondi messi a disposizione dal Pnrr - spiega Giuliano -. Nei prossimi mesi ci aspettiamo un bando da 2,2, miliardi per finanziare la realizzazione di impianti».

A ciò vanno aggiunte «risorse finanziarie di derivazione pubblica come il quadro pluriennale 2021/2027 e ulteriori fondi su scala regionale o locale» conclude. Riassumendo: la necessità è reale, i soldi sembrano esserci. Cosa stiamo aspettando? 

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