La rivoluzione del fintech passa attraverso il data scientist
L’intelligenza artificiale si nutre di dati, sia che essi provengano da satelliti, sensori, informatica embedded, social media o altre fonti. Dalla miriade di dati finanziari disponibili, l’IA può perciò estrarre conoscenza utile per tutti i processi aziendali.
È questo il compito del financial data scientist, una figura professionale di massima importanza che l’Università Cattolica di Brescia propone nel corso di laurea magistrale in Applied Data science for Banking and finance, afferente alla facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali e a quella di Scienze bancarie, finanziarie e assicurative.
Se n’è parlato nel convegno «Il futuro della finanza: tra fintech e intelligenza artificiale» con Daniele Tessera e Alessandro Sbuelz dell’Università Cattolica, assieme a Federico Mazzorini e Camilla Stefani di Mdotm Ltd FinTech, leader in Europa nello sviluppo di strategie di investimento finanziario che utilizzano intelligenza artificiale.
Ma che cos’è il fintech? L’acronimo nasce dalla crasi di «financial technology» e include nel suo significato qualsiasi innovazione tecnologica e automazione all’interno del settore finanziario. Una ricerca condotta da Nielsen e dall’Osservatorio Fintech & Insurtech del Politecnico di Milano, rivela che in Italia il 33% degli utenti tra i 18 e i 74 anni ha fatto ricorso almeno una volta ad un servizio fintech, con un indice di soddisfazione media del 64%.
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Avvalersi di esso significa fare ricorso a processi innovativi, che spaziano dal machine learning al data-driven marketing, per rendere altamente personalizzata l’esperienza finanziaria dei clienti e realizzare un servizio costruito sulla base dell’analisi comportamentale degli utenti stessi. Oggi il nesso tra finanza ed intelligenza artificiale sta andando oltre e si impone sempre più come un imperativo.
«Potenziata negli ultimi decenni dallo straordinario sviluppo della tecnologia digitale, l’interazione tra intermediari bancari e finanziari produce ogni giorno oceani di dati nelle cui acque spesso agitate gli operatori del settore si trovano a navigare - ha detto Sbuelz -, col rischio di esserne travolti quanto si devono prendere decisioni importanti. Pensiamo soltanto alle cifre da brivido di cui siamo stati testimoni all’inizio della pandemia, quando lo spread è salito a 300 punti base».
E aggiunge: «A distanza di due anni, siamo testimoni del disastro umanitario e dell’orrore della guerra, che è giunta in compagnia di cupe minacce geopolitiche. Capire ed interpretare con flemma razionale la vorticosa miriade di misurazioni nei mercati del credito e dei capitali è uno dei compiti fondamentali del financial data scientist».
Si tratta infatti di una figura professionale di cardinale importanza e proiettata nel futuro prossimo della finanza «per la sua capacità di distillare da vaste quantità di dati eterogenei, conoscenza equilibrata e suggerimenti utili in campo bancario e finanziario - evidenzia il docente -, mediante l’uso dell’intelligenza artificiale e dei modelli di ermeneutica economico-finanziaria».
L’esplosione dei dati e della potenza di calcolo (secondo uno studio Ibm, circa il 90% dei dati è stato prodotto negli ultimi due anni) ha certamente avuto un impatto notevole sui mercati finanziari. C’è bisogno di nuove skills e nuove conoscenze, ricordando come il machine-effect (l’effetto sostitutivo che la tecnologia ha sui processi dapprima affidati alle persone) esiga una supervisione, ossia una responsabilità che è in ultima battuta sempre delle persone.
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