Criptovalute, ignorarle può essere pericoloso
La notizia è di un mese fa e, fuori da determinati ambienti, non ha fatto molto rumore. A fine aprile Goldman Sachs, tra le principali banche d’affari mondiali, ha assicurato a Coinbase, «borsa» delle criptovalute, il primo prestito garantito in bitcoin.
Si tratta dell’ultimo passo, cronologicamente parlando, di un’istituzione bancaria all’interno della galassia cryptocurrency, segno di un interesse sempre più concreto e che dovrebbe far meditare anche chi non bazzica gli ambienti della finanza.
Cosa spinge infatti questi colossi a puntare sulle «cripto»? La prima risposta che viene da dare è scontata: il guadagno. Nonostante la volatilità del mercato, sottolineata anche dal recente crollo delle valute dovuto al caso Terra, il bitcoin, principale valuta per capitalizzazione e celebrità, è costantemente in crescita dal 2009. Non dimentichiamoci che se un bitcoin oggi vale attorno ai 30 mila dollari, poche settimane fa aveva sfondato quota 60 mila.
Ma non basta questo per spiegare, anche solo in parte, l’interesse delle banche mondiali (e non solo) per le cripto. Queste sono infatti un modello di pagamento decentralizzato, certo (è garantito dalla tecnologia blockchain), sicuro e non bloccabile. A ciò si aggiunga che, sotto un punto di vista meramente psicologico, si sta erodendo quell’alone di mistero che circonda fin dagli albori Bitcoin e affini (sono poco sotto le 20 mila le valute esistenti).
E se le banche in esse investono i loro soldi, noi non dobbiamo far finta che tutto ciò sia una bolla o un gioco per nerd. Ignorarle rischia di tagliarci fuori ancor prima di entrare nell’arena.
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