I bimbi non si ammalano, ma possono essere fonte di contagio
I più piccoli possono contrarre l’infezione con la stessa facilità degli adulti, ma raramente per loro i sintomi di Covid-19 sono gravi. Insomma, si infettano ma nella maggior parte dei casi sono asintomatici o paucisintomatici. Con un decorso clinico caratterizzato da sintomi lievi o addirittura assenti. Essere positivi al test non vuol dire essere malati e questo accade soprattutto nei neonati che contraggono l’infezione dalla mamma dopo il parto o nei giorni seguenti: il test è positivo anche se non hanno alcun disturbo tipico del Covid-19.
«Allo stato attuale delle conoscenze, possiamo dire che non ci sono certezze sul fatto che i bambini si infettino di meno. Di certo si sa che se si infettano, sono nella maggior parte dei casi asintomatici o poco sintomatici, quindi nelle condizioni ideali per trasmettere il virus ad altre persone» spiega Marco Cattalini, responsabile della Reumatologia e Immunologia pediatrica dell’Ospedale dei Bambini al Civile. Ospedale in cui è stata ricoverata una trentina di bambini con diagnosi di Covid-19, un terzo dei quali con forme più gravi. Sono tutti guariti. Dunque, ben vengano tutte le misure di «buon senso» mirate a contenere la diffusione del virus adottate anche con i minori.
Tra queste, le precauzioni del possibile distanziamento sociale, ma anche l’uso delle mascherine per chi riesce ad indossarle, anche se non esiste l’obbligo al di sotto dei sei anni proprio per le difficoltà pratiche a rispettarlo. Il termine «buon senso» deve prevalere per tutte le attività estive che stanno partendo e per l’attesa ripresa della scuola a settembre.
«Un bambino infetto è potenzialmente pericoloso per gli altri, anche se non sappiamo ancora con precisione quanto i piccoli asintomatici ma positivi al test del tampone veicolano il virus e possano trasmetterlo ad altre persone. Questo è uno dei motivi che rende complesso il controllo dell’epidemia, sia tra i bambini sia tra gli adulti» continua Cattalini. La ricerca scientifica, in questo ambito, si scontra con la carenza di dati perché nella nostra Regione tendenzialmente i bambini non vengono sottoposti nè a test sierologico nè a tampone molecolare. Test e tamponi che non possono essere prescritti nemmeno dal pediatra di libera scelta. In caso di sintomi sospetti, il medico deve fare la segnalazione ad Ats attraverso il sistema Mainf (Malattie infettive). Sarà poi la stessa Ats a prenotare nelle Asst o in Poliambulanza eventuali test. Ai genitori, ovviamente, la libera scelta di sottoporre i propri figli minori ad eventuali accertamenti a pagamento nei laboratori autorizzati.
«Rispetto alla contagiosità delle persone malate, in questa fase stiamo assistendo ad un calo di attendibilità del risultato dei tamponi: spesso sono negativi anche se è evidente che la persona ha il Covid - aggiunge Cattalini -. Questo accade perché è diminuita la virulenza del Sars-Cov-2 e, a fronte di una bassa carica virale, anche il rischio contagio è minore». Esiste una spiegazione scientifica al fatto che i bambini da zero a quattordici anni si ammalano di meno, anche in caso di positività al nuovo coronavirus? «Ci sono alcune ipotesi. Una riguarda la pertinenza del sistema immunitario, che è molto plastico e, quindi, più pronto a rispondere in caso di aggressione di un virus - spiega Cattalani -. Un’altra ipotesi richiama l’attenzione sulla «porta» attraverso la quale il virus entra nelle cellule. La «porta» si chiama recettore Ace2 che si trova sulle cellule degli alveoli polmonari e dell’intestino. Secondo questa ipotesi, non ancora confermata, la distribuzione o la maturazione di Ace2 nei bimbi e, in particolare, nei neonati, siano differenti da quelle degli adulti o che la capacità del recettore di legarsi al virus sia bassa nei piccoli perché immatura».
Nel ventaglio di spiegazioni vi è anche quella sullo stato di salute dei bambini che, nella maggior parte dei casi, non hanno altre patologie associate ad una eventuale positività al Sars-Cov-2. «Questo di certo ha un peso significativo nell’evitare che la malattia si sviluppi in forme gravi. Di base esiste anche una predisposizione genetica, ricordiamo rari casi gravi di forme particolari riconducibili al morbo di Kawasaki» è il parere di Cattalani. Da vari studi sembra che solo il 2% dei soggetti sotto i 18 anni in Cina, Italia e Stati Uniti si è ammalato, ma non significa che siano meno suscettibili all’infezione e soprattutto meno contagiosi. Uno studio pubblicato su «Lancet Infectious Diseases», condotto a Shenzen ha mostrato che i bambini sotto i 10 anni erano infetti come gli adulti, ma con sintomi meno gravi, mentre altri condotti in Corea del Sud, Italia e Islanda hanno mostrato un tasso di infezione minore nei bambini.
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