Covid, la «variante inglese» resta più a lungo nell'organismo
La «variante inglese» del virus Sars-CoV-2 potrebbe avere una maggiore trasmissibilità rispetto alle altre perché questa «versione» del virus rimane per più tempo nell'organismo, facendo sì che un paziente sia infettivo più a lungo. Lo suggerisce uno studio preliminare, ancora non pubblicato, dell'università di Harvard, condotto sui giocatori Nba, secondo cui l'attuale quarantena di 10 giorni non sarebbe quindi più sufficiente per limitare il virus.
L'analisi è stata condotta su 65 giocatori Nba positivi al virus che venivano testati ogni giorno durante il periodo di «bolla» della scorsa estate in occasione dei playoff. Tra questi sono stati individuati 7 casi di «variante inglese».
«Per gli individui affetti dalla variante la durata media della fase di proliferazione del virus era di 5,3 giorni, quella della fase di eliminazione 8,0 giorni e la durata totale media dell'infezione era di 13 giorni - si legge -. Per confronto chi non era infettato dalla variante aveva una fase di proliferazione di 2 giorni, di clearance di 6,2 e una durata media di 8,2 giorni».
Se confermati, scrivono ancora gli esperti, i dati suggerirebbero di allungare la quarantena dagli attuali 10 giorni dopo l'inizio dei sintomi.
«I risultati sono preliminari - scrivono - essendo basati su solo sette casi. Tuttavia, se confermati, potrebbe essere necessario un periodo più lungo di isolamento per evitare efficacemente le infezioni secondarie».
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