Il giorno in cui Venezia finì sotto il mare
La normalità del disastro. La quotidianità di un evento enorme che colpisce una città, non la piega, ma la segna, come un tatuaggio impresso sulle cose, sulle persone e nella loro memoria.
«Era Mare» è un libro piccolo e necessario con le fotografie di Matteo de Mayda, i testi di Francesca Seravalle e il lavoro editoriale di Giacomo Covacich e Andrea Codolo, della casa editrice (e libreria) bruno.
Racconta dei giorni successivi alla notte del 12 novembre 2019, quando Venezia venne sommersa dall’acqua alta a quota 187 centimetri, il secondo livello più elevato della storia dopo l'Acqua Granda del 1966.
Dimenticatevi i vaporetti schiantati sulle fondamenta o le immagini a effetto: de Mayda, che lavora per l’agenzia Contrasto, si è mosso nella città cercando, appunto, la normalità in momenti fuori dall’ordinario.
«Avevo letto un articolo che parlava di come gran parte di Venezia finirà sott’acqua entro il 2050 per effetto del cambiamento climatico - racconta il fotografo -. Ero dunque arrivato, sapendo dell’allerta, per affrontare quel tema. Poi è successo quello che sappiamo, la notte era impossibile muoversi, ma dal mattino successivo ho iniziato a scattare. Partendo da piazza San Marco, che è quella più iconica, ma che è anche una delle prime parti della città a finire sotto l’acqua alta».
Si trova così nell’epicentro dell’attenzione mondiale, o almeno in uno di essi, e arrivano le commesse per Internazionale o per il Wall Street Journal, che gli chiede un reportage sul Mose. Mentre lavora segue anche i gruppi di volontari di Venice Calls, arrivati per aiutare residenti, commercianti e istituzioni, continuando a muoversi in uno scenario destinato a entrare nella storia e, secondo le proiezioni degli scienziati, nella quotidianità.
«È stato un momento forte, sono abituato a osservare situazioni difficili per il lavoro che faccio, ma Venezia la sento un po’ anche casa mia, anche se vengo da Treviso - aggiunge -. Vedevo appartamenti allagati, elettrodomestici ormai rotti in fila davanti alle case, spazzatura galleggiante, ma mi colpiva molto anche la reazione della gente. Ti faceva la battuta, si è subito messa al lavoro per ripartire. In più tutte le osterie, i negozi o il mercato si sono segnati questa cosa, il livello dell’acqua, come se fosse un tatuaggio. Un po’ come le tacche sul muro per segnare l’altezza di tuo figlio. Solo che vedere tuo figlio crescere è una cosa bella, mentre l’acqua alta è drammatica. Però è da ricordare lo stesso».
Il volume si può ordinare online, con una donazione minima di 10 euro più le spese di spedizione. Il ricavato andrà a Dove, un’associazione di Dorsoduro, a Venezia, che organizza iniziative culturali. «Non abbiamo ancora deciso come verranno usati i fondi - spiega de Mayda -. Vedremo alla fine quanto avremo raccolto, ma l’idea è di finanziare l’acquisto di paratie, ad esempio, per chi non ne ha».
Un libro piccolo, dicevamo, di sole 24 pagine. Un’opera dalla sensibilità grande, come quel mare che si era preso la città. «Il titolo Era Mare è nato da un’intuizione di Francesca Seravalle. È palindromo, si legge al contrario e ci ha fatto pensare all’acqua, che si muove in una direzione e poi nell’altra, che viene e che va».
L’esperienza non si conclude qui. Matteo de Mayda, che fotografa le cose con uno stile pulito ed essenziale, oltre che rispettoso, continuerà il lavoro su Venezia. La direzione precisa non è ancora tracciata: seguirà la marea, in questi casi è l’unica cosa che si può fare.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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