Cultura

Il Greatest Hits degli Eagles è il disco più venduto di sempre

Secondo i dati della Recording Industry Association spodesta «Thriller» di Michael Jackson
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Il sorpasso è avvenuto. «Thriller» di Michael Jackson non è più l’album best seller della storia della musica. La Recording Industry Association of America ha infatti certificato come 38 volte disco di platino l’album degli Eagles «Their Greatest Hits 1971-1975», pubblicato nel 1976. Il che, tradotto in numero di copie vendute, equivale a 38 milioni. Un dato che spinge il capolavoro commerciale di Michael Jackson al secondo posto, visto che, secondo i dati della RIAA, potrebbe contare «solamente» su 33 dischi di platino.

Il dato è però controverso: il Guinnes World Record, ad esempio, attribuisce a «Thriller» un totale di 51 milioni di copie vendute dal 1982. Senza contare il post apparso il 10 aprile del 2014 sulla pagina Instagram ufficiale del Re del Pop, scomparso nel 2009, in cui si ringraziano tutti i fan per aver permesso di superare il traguardo dei 100 milioni di copie vendute in tutto il mondo.

La raccolta di successi non è l’unico lavoro degli Eagles a brillare nelle classifiche. Sempre secondo i dati dell’associazione americana, «Hotel California», pubblicato nel 1977, avrebbe raggiunto i 26 dischi di platino, piazzandosi così sul gradino più basso del podio dei dischi più venduti di tutti i tempi. L’ultima stima della RIAA sulle vendite degli Eagles risaliva al 2006, quando il «Greatest Hits» era fermo a 29 dischi di platino. Il dato sulle vendite di «Thriller» è stato invece aggiornato l’anno scorso.

«Vogliamo ringraziare le nostre famiglie, i nostri manager, tutta la nostra squadra, le persone che lavorano alla radio e, soprattutto, i nostri fedelissimi fan che ci sono rimasti sempre vicini negli alti e bassi di questi 46 anni. È stata una cavalcata meravigliosa», ha commentato Don Henley, cantante e batterista degli Eagles. Per conquistare un disco di platino, secondo gli standard della RIAA, è necessario vendere un milione di album o canzoni. Dal 2013, però, la società ha iniziato a calcolare anche i dati derivanti dallo streaming su YouTube, Spotify e altri servizi di musica digitale.

 

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