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«Si può e si deve»: la scelta della Beretta sulla via digitale

Incontro e visita ai reparti. Si è partiti nel 2010 con risultati sorprendenti, ecco gli effetti sui fornitori
Prima della visita allo stabilimento, l'incontro in sala riunioni - © www.giornaledibrescia.it
Prima della visita allo stabilimento, l'incontro in sala riunioni - © www.giornaledibrescia.it
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La storia del digitale in Beretta ha una data: il 2010. Reduce da un incontro in Birmania con un gruppo di imprenditori internazionali su un battello dall’aria un po’ vintage, Franco Gussalli Beretta se ne tornò a Gardone convinto di una cosa: «Dovevamo diventare un’azienda digitale». Anche a questo serve vedere e incontrare chi sta sulle frontiere dell’innovazione.

E giovedì scorso, nella sala riunioni dell’azienda affollata oltre ogni attesa, agli ottanta e passa che hanno avuto il pass, Franco Gussalli Beretta e i manager del Gruppo hanno rifatto le tappe e delineato i possibili prossimi sviluppi della Beretta Digitale. È stato un processo ampio, profondo, un processo che vede sotto lo stesso tetto il sistema digitale ed un artigianato di alto livello. Mani, dita e digitale. Un processo - e l’hanno riassunto sia il direttore generale Daniele Bertoni, sia Enrico Ravagnani (direttore dello stabilimento di Gardone, 800 addetti) - che vede oggi 200 macchine cablate, 40 postazioni di controllo in campo, 300 operatori coinvolti.

Fra gli altri miglioramenti registrati nel 2016: produttività +15%, miglioramento delle scorte del 19%, riduzione del tempo di lavorazione delle canne del 35%. Ma c’è stato - prima - ben altro. Il modello complessivo di organizzazione con i fornitori lo si è copiato dall’automotive: non più contolavoristi ma capicommessa; si introducono le logiche lean: il cartellone del kaizen con i cantieri aperti in fabbrica per il miglioramento continuo è grande quasi come un maxischermo così come è grande la copia di un assegno da 3 mila euro assegnato ad un gruppo per un suggerimento su come migliorare un processo.

E in fabbrica ci sono due giovani ingegneri che vegliano, incoraggiano e incentivano a non abbassare la guardia sui miglioramenti. E poi, e ovviamente, ci sono gli investimenti su macchine e software e sono lì, scritti in grande a che tutti sappiano: impianto saldatura laser manicotto, levigatura borsotti con sistema di visione, interventi sulla lavorazione canne e lavorazioni bascule sovrapposto. E via andare.

Tutto questo porta ai risultati ricordati sopra, ma - al fondo al fondo ma questo significa che è la cosa che viene per prima - c’è quella che Bertoni chiama la «servitisation strategy», andare verso quelle che si chiamano «le esperienze del cliente».

Ma i più piccoli? Possibile obiezione: d’accordo, tutto-bello-tutto-bene. Già, ma è la Beretta, un gruppo da 680 milioni di fatturato e 60 di utile netto. E i più piccoli? Alcune cose prescindono dalla dimensione. La dimensione non può seguitare ad essere un alibi: vale per la banda ultralarga (che ormai c’è ed è disponibile, e l’ha ricordato Daniele Peli), vale per l’introduzione di processi organizzativi della lean production (e l’ha ricordato Riccardo Trichilo, presidente del Csmt), vale per l’introduzione di sistemi di controllo sulla sicurezza informatica (Giancarlo Turati di Fasternet). Non sono innovazioni costose e certo si ripagano presto.

Certo - e questo l’ha ricordato Giovanni Marizzoni della Ingest - serve anche la curiosità e l’interesse a vedere quel che le grandi aziende hanno da trasferire alle piccole e serve soprattutto «crederci», come ripete Claudio Morbi della Stain, promotrice dell’incontro in Beretta. Lasciamo perdere il 4.0, le nuove tecnologie, il mondo di domani eccetera. Rispondete a questa semplice domanda: vi interessa scovare i tanti piccoli costi e sprechi nascosti che magari messi insieme vi fanno aumentare produttività del 10-15%? Partirei da qui.

 

 

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