Quando innovare crea posti di lavoro: il caso Ivar
Il vento soffia nelle vele di chi ha una rotta. Viene spontanea la riflessione che mette all’angolo la citazione ben più famosa (forse di Seneca: «Non c’è mai vento favorevole per chi non sa dove andare») entrando e sentendo un po’ progetti e realizzazioni alla Ivar di Prevalle. Azienda nata nell’85 e che si è sempre occupata di componenti per l’idrosanitario, negli anni evolvendo sui sistemi per l’idrosanitario e ormai si va (si è andati) nell’idronica: sempre di idrosanitario si tratta, ma con componenti di elettronica e sensoristica.
È un’azienda che mette buon umore, ancor prima di entrare. Nel parcheggio riservato ai visitatori, un grande welcome sta vicino ad una colonnina per la carica elettrica di auto e moto. Gratis. Poca roba, si dirà. Forse, ma dice una prima cosa della fabbrica che ha la certificazione europea di Ekoenergy e quindi impianti fotovoltaici, geotermia, illuminazione a led e che usa imballi in materiale riciclato per l’80%. E qui la roba non è poca.
Poi il buon umore si rassoda quando Paolo Bertolotti (uno dei figli del fondatore Umberto, l’altro è Stefano), ti dice che da aprile (quindi dall’altro ieri, in pratica) in fabbrica hanno iniziato il terzo turno anche sul montaggio e quindi hanno assunto una ventina di addetti (il che porta a 230 i lavoratori del sito di Prevalle). E che poi stanno cercando una decina di periti e che se in giro ci fossero una decina di ingegneri (magari specialisti in termotecnica) se li prenderebbero.
Beh, c’è di che stare allegri, c’è da aver fiducia, perlomeno. Ci fossero mille Ivar in giro per l’Italia staremmo tutti meglio.
Ivar è una storia a suo modo anomala. Racconta di come si possa fare innovazione (di prodotto e processo) e contemporaneamente aumentare gli addetti, "smentisce" - diciamo così - un luogo comune (ma che in molti casi ha un suo perchè, intendiamoci) secondo cui innovare è tagliare posti di lavoro. Qui accade il contrario, almeno per ora.
«Prima di investire progettare». Paolo Bertolotti lo ripete come un mantra: prima si progetta poi si investe. Innovare è un processo lungo, qualche volta complicato. Noi ci siamo detti: cosa vogliamo fare? E anni fa abbiamo deciso che la quantità non pagava, non poteva bastare, che bisognava passare dai singoli componenti dell’idrosanitario (la valvola, il termostato) ai sistemi per la gestione e il controllo dell’acqua. Detto questo abbiamo attivato una serie di cose che ci hanno portato oggi ad avere come Ivar 64 milioni di fatturato (+18% sul 2015) e con i primi mesi del 2017 che registrano analogo incremento. Il 90% va all’export.
Le macchine sono un mezzo. In sostanza, quattro anni fa alla Ivar hanno deciso di fare una iniezione di efficienza con la lean production, mettendo una lente di ingrandimento sui singoli processi, per «far di più con meno». Ovviamente si sono fatti anche gli investimenti in macchinari, ma - ricorda l’a.d. di Ivar - «le macchine sono un mezzo non un fine. Se prima non si sono fatti gli altri passaggi si rischia di compare macchinario e poi di utilizzarlo male». Meditate gente, meditate...
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