«Noi italiani siamo molto più bravi di quanto pensiamo»
La notizia è di qualche giorno fa. L’università Tsinghua di Pechino ha annunciato che aprirà a Milano, alla Bovisa, un suo incubatore. L’operazione è fatta in partnership con il Politecnico di Milano (60% ai cinesi, 40% agli italiani) e operativamente sarà condotta dal braccio operativo dei cinesi attraverso il TusStar, che attualmente è il maggior incubatore di imprese al mondo, con 5mila imprese incubate, decine quotate, sei di queste al Nasdaq americano.
L’operazione era stata firmata giusto un anno fa, alla presenza dei presidenti di Italia e Cina. In un anno, dalla firma del protocollo all’arrivo a Milano con l’annuncio dell’acquisto di oltre 20 mila metri quadri al Bovisa Tech. Chi ha lavorato a definire il progetto e a convincere i cinesi che Milano era meglio delle due altre opzioni (Parigi e Londra) è stato Giuliano Noci, docente di marketing al Politecnico e prorettore della stessa università con la delega ai rapporti con la Cina.
Professore è stato difficile trattare coi cinesi? Cosa li ha convinti a optare per Milano?
«Diciamolo con franchezza. I cinesi su queste operazioni si muovono con grande determinazione. A Milano realizzeranno un hub che per loro è la porta d’accesso all’Europa. Avevano fatto le loro analisi e riflessioni dalle quali emergeva come Milano fosse al centro di un territorio cui loro sono molto interessati (direi ossessionati): l’industria manifatturiera in genere e la meccanica-automotive e l’aerospaziale in particolare. Qui, nell’area lombarda-emiliana, sapevano che ci sono capacità di ideazione e realizzazione che altrove non avrebbero trovato. Ovviamente serviva anche chi rappresentasse loro queste eccellenze e il valore di una città come Milano. Ed è quello che ho fatto».
Proviamo a spiegare quel che si farà in questo hub, in questo incubatore?
«Sarà un posto dove attrarre talenti, lavorare con le imprese, essere un ponte fra Italia-Cina e quindi Europa-Cina. Un posto dove le università si scambieranno competenze e dove le aziende (quelle che si incuberanno e quelle già mature, quelle già attive nel territorio) potranno trovare competenze ed assistenza sui rispettivi mercati: quello cinese e quello italiano».
La vocazione primaria sarà quindi sul comparto industriale, sul manifatturiero...
«Sull’industria in generale, su automotive e aerospazio. Sono questi i tre ambiti sui quali si muovono i cinesi. La Cina ha varato un piano al 2025 che punta ad ottenere la leadership mondiale in 10 settori. È dentro quel progetto che rientra l’arrivo a Milano del Politecnico di Pechino e del TusStar. Ma la Cina in questi tre settori già ora è davanti a noi».
Che pensano di trovare in Italia?
«Anche lei pecca, ci sottovaluta. Noi italiani siamo molto più bravi di quanto ci consideriamo. All’estero abbiamo una immagine più alta di quella che noi abbiamo di noi stessi. I cinesi (e non solo loro in verità) sanno bene che in Lombardia e in Emilia c’è un reticolo di aziende meccaniche che hanno una capacità ideativa e progettuale altissima. Siamo bravi. Convinciamoci che siamo fra i migliori al mondo. Poi, naturalmente, noi siamo piccoli, ma siamo bravi».
E quindi lei dice, semplificando, noi inventiamo e facciamo le cose e loro ci mettono il mercato...
«Piano. Certamente loro hanno il mercato, i volumi, ma hanno anche altro, ben altro. I cinesi sono i primi al mondo nello studio e applicazione dell’AI, l’intelligenza artificiale, per esempio. Noi bravi a ideare macchine, loro a metterci sopra l’AI. È solo un esempio ma che dice di come si potrà sviluppare il progetto di Milano. Provi poi ad immaginare cosa può significare per l’industria cinese il fatto che una fra le maggiori istituzioni innovative cinesi arrivi in Lombardia. È il segnale a tutte le aziende cinesi che qui da noi c’è sostanza, c’è serietà, ci sono capacità e possibilità di collaborazione. Qualcosa si sta già muovendo in questo senso».
È possibile avere qualche dettaglio in più. Chi si sta muovendo?
«Qualche riservatezza è d’obbligo. Ma, per dire: la Byton cinese sta sviluppando auto elettriche in partnership con Apple. Ed è interessata ad avere una base in Europa, e quindi a Milano. È lavoro e capitali che arrivano. Altro esempio. Qualche settimana fa è stato lanciato nello spazio un satellite italo-cinese e c’è stato uno scambio di lettere fra i presidenti dei due Stati a valorizzare l’evento e la collaborazione. Ai più la cosa è sfuggita e potrà apparire banale questo scambio di missive. In realtà, per i cinesi la cosa è importantissima. L’istituzione - e la simbologia che rappresenta - è sacra. È il segnale che si apriranno collaborazioni a spettro ampio in questo settore.
Sorge una domanda: lei dice collaborazione, ma il timore è che i rapporti siano sbilanciati a favore della Cina.
«Qui ognuno si misurerà sulla base delle proprie capacità. È evidente che sul piano dei volumi e della capacità di fuoco finanziaria non c’è raffronto. Ma l’hub milanese è una opportunità anche per le aziende italiane che vogliono avere una piattaforma per entrare in Cina. Sapendo da subito che la Cina non è per tutti, che serve una strategia a lungo termine. E che in Cina, forse più che in altri mercati, prima bisogna conquistare il mercato e poi immaginare di guadagnare».
Ma la società che il Politecnico ha fatto con i cinesi come si reggerà. Dove farà fatturato e margini?
«Le fonti potranno essere diverse, dal favorire partnership alla formazione specialistica di livello. Teniamo poi conto che il TusStar, come detto, ha portato alla quotazione in Borsa decine di aziende: le ha allevate, fatte crescere, quotate. E li ci sono margini, ovviamente.
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