La lezione Bie: se si sta insieme a volte si fanno cose buone
No, non è una grande fiera. Magari - lo speriamo - lo diventerà ma, e per ora, la Bie (la Brixia Industrial Exhibition) è una piccola fiera, un gesto di coraggio, un segno, un investimento sul futuro. Ma la Bie 2018 dice anche che, se si vuole, alcune cose si possono fare. Naturalmente con fatica, con una capacità visionaria che in apparenza rasenta il delirio, ma le cose a volte succedono.
L’edizione 2018 della fiera dei metalli e della meccanica che si è chiusa a Montichiari nei giorni scorsi ha visto la presenza quasi raddoppiata di espositori pur continuando ad essere, come detto, piccola. La presenza in fiera di una «fabbrica 4.0», ovvero di una linea di produzione che partendo dai pani di alluminio arriva ad un pezzo finito, è a suo modo un unicum mondiale. Certamente ad Hannover, in Germania, alla maggior rassegna mondiale dell’automazione industriale, una cosa così non c’era. A Montichiari c’era. Ora, senza metter piume e pennacchi, è bene anche dire le cose buone che si fanno.
È bene andare orgogliosi del fatto che 16 aziende (per la gran parte bresciane) si siano rese disponibili, ciascuna per la propria parte, a mettere in linea una fabbrica, a far vedere cosa può fare, in spazi ridotti ma con alta tecnologia, l’industria meccanica bresciana. Perché il tema è un po’ questo: connotarsi, avere una identità, far sapere di saper fare, dire e dimostrare che la meccanica è qui che ha una sua patria, che non si ha la pretesa di essere gli unici, ma che qui c’è un polo di eccellenza che va oltre il tondino e la vergella, che qui c’è il secondo polo (dopo Torino) dell’automotive italiano, che se siamo la prima provincia europea (europea, ripeto) per incidenza dell’industria è perché abbiamo queste aziende e sappiamo fare certe cose.
Si resta in qualche modo sorpresi quando senti imprenditori, ma anche designer, anche manager stranieri paracadutati a guidare qualche realtà bresciana, che ti dicono che «questo è il miglior posto per fare industria» perché qui - nel raggio di 20 km - trovi tutto. Ma - ed è un ma grande come una casa - tanti, molti, troppi, se ne stanno acquattati in casa propria, sotto i propri capannoni: bravi come pochi a fare, asini come tanti a non far sapere, a non mostrare quel che fanno, a mettersi un poco di belletto se serve. Intendiamoci: la sobrietà è sempre una virtù. La sobrietà, però, non è nascondersi. Perché poi se te ne stai sempre defilato, se non fai mai un passo avanti, se sei troppo timido o troppo tirato, sì, d’accordo, magari continui a fare le tue buone cose, ma alla lunga scompari dai monitor.
Ecco, da questo punto di vista la Bie 2018 è incoraggiante. Carlo Miotto, fra gli ideatori e organizzatori della fiera, si dice orgoglioso della cosa. E fa bene. Non sogna i fasti del MU&AP, ma qui forse pecca. Se per davvero siamo dentro il vortice 4.0 ci sono praterie da conquistare, settori da indagare, nicchie sparse che attendono una comune bandiera. Certo, bisogna che Brescia capisca il valore di quel che si chiama marketing territoriale, che non è una fisima per specialisti. Quando voi leggete «made in Germany» assegnate a quel prodotto (ancor prima di averlo provato) un certo valore. Serve, dunque, far sapere che la nostra meccanica, per tornare alla Bie, è la sintesi di chi lavora il ferro da secoli e di chi fa motori d’auto e d’aereo da un secolo. E questa è una storia rara. Ma bisogna imparare dalla gallina: che fa l’uovo e poi, col coccodè, fa sapere a tutti che l’ha fatto.
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