Il dato misura il valore dell'azienda? Ipotesi e realtà
E se fossero i dati l'elemento cardine al centro del business delle aziende, anche di quelle manifatturiere, e non (più) i prodotti fisici realizzati? Forse non per tutti i settori industriali, forse non per tutte le aziende, ma è visibile a tutti quanto rilevino ad oggi i dati nell'attività delle imprese: disporre di informazioni precise, accurate, affidabili e puntuali, non è più un'opzione, bensì una necessità per poter competere sul mercato.
Questa crescente importanza del dato è raccolta e sintetizzata nella definizione di digital economy, in cui uno dei pilastri fondanti è appunto l'equazione «dato=valore d'impresa».
Qualcuno potrebbe affermare che il dato è in realtà da sempre al centro delle scelte strategiche delle imprese. Vero, ma negli ultimi anni il dato sta cambiando forma, aspetto e connotati.
In primis, il dato può arrivare da fonti interne ed esterne all'azienda, e può essere più o meno controllabile. Si pensi ai dati di produzione raccolti tramite sensori posizionati sui centri di lavoro, sulle linee di colata o sui banchi di montaggio e test: questi dati provengono da fonti interne, e l'azienda può definire la modalità e la frequenza con cui rilevarli e analizzarli.
Dall'altro lato si pensi ai dati relativi ai giudizi e alle impressioni dei consumatori sul prodotto realizzato, messe online e condivise con gli altri utenti della rete, su qualsivoglia social network.
Questo genere di dati è esterno all'azienda e non è nemmeno direttamente analizzabile. Infine, grazie alla diffusione di sensori legati alle tecnologie dell'Internet delle Cose, ogni singolo oggetto può diventare una fonte di dati. È quindi prima di tutto una questione di varietà delle fonti.
In secondo luogo, va considerata la velocità con la quale questi dati vengono raccolti. Sempre più spesso le aziende hanno bisogno di poter controllare in tempo reale lo stato delle proprie attrezzature, macchinari e dei propri prodotti, tracciando per esempio dove si trovano, come sono impiegati e che prestazioni stanno erogando.
Infine, la rilevazione di tutti questi parametri in tempo reale (o quasi) genera una mole di dati impossibile anche solo da paragonare a quella gestita fino a qualche anno fa.
Per chi ha un po' di padronanza di unità di misura informatiche, occorre utilizzare gli Exabyte (1 exabyte = 1.000.000 terabyte!) per quantificare il volume di dati che sarà possibile/necessario trattare.
Big Data, ma molto Big. Con il termine Big Data si intende per l'appunto questa gigantesca mole di dati che arrivano in tempo reale da fonti completamente eterogenee tra di loro. Ebbene, non è pensabile trattare adeguatamente i big data senza specifici modelli e tool in grado di memorizzare, integrare, analizzare e interpretare tale coacervo di informazioni. Per fare questo, serve una potenza di calcolo di molto superiore a quella richiesta per esempio analizzare le serie storiche di prodotti venduti, il portfolio dei clienti, l'andamento dei ricavi e dei costi, etc. Oltre a questo occorre infatti disporre di modelli relazionali in grado di analizzare in tempo reale informazioni anche destrutturate, provenienti da fonti eterogenee, in perpetuo aggiornamento.
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