Calenda: «Il piano funziona e servono 100mila periti»
Al suo lancio ufficiale in molti l'hanno visto come il Sacro Graal per lungo tempo cercato. Il Piano Industria 4.0, ora diventato Impresa 4.0, è però legato indissolubilmente al suo promotore, il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda che incrociamo alla Streparava di Adro. Un bilancio del piano che porta il suo nome ad un anno e mezzo dall’avvio.
Domanda secca: il piano sta funzionando?
«Basta guardare i numeri per capire che la risposta è sì e a dirlo sono in primis Bce, Ocse e Fmi. Gli investimenti sono cresciuti dell'11% con una reattività molto forte delle imprese su super e iper ammortamento. Anche il credito d'imposta per Ricerca e Sviluppo è stato largamente usato, con un aumento dell'utilizzo del 104%. Abbiamo stanziato 20 miliardi nel 2017, a cui si aggiungono i 9,8 messi a disposizione per il 2018».
La principale critica mossa è che si tratti di un intervento fiscale più che propriamente industriale.
«Ciò che gli altri considerano un difetto io lo vedo come un pregio. Abbiamo messo a disposizione una serie di strumenti facili da usare e automatici. Le politiche dirigistiche danno pessimi risultati, come confermato dal piano industriale varato sotto il dicastero di Bersani. In quell'occasione sono stati spesi meno del 5% dei fondi previsti».
Altra pecca imputata è il suo essere, a detta dei detrattori, spiccatamente rivolto alla grande industria.
«Al contrario, il fatto che si tratti di incentivi fiscali automatici garantisce proprio le Pmi che fanno più fatica con gli incentivi a bando. La grande rilevanza data ai Digital Innovation Hub e al progetto Punto Impresa Digitale, dove centrale è il ruolo delle Camere di commercio vanno nella stessa direzione. Grazie a questi strumenti la trasformazione può raggiungere facilmente anche i piccoli attori economici».
Ascoltando i pareri degli imprenditori l'intervento pare essere stato notevolmente apprezzato. Cosa serve ora?
«Stiamo costruendo un sistema tecnologico nel Paese, ora serve creare le competenze e formare i lavoratori. In quest'ottica saranno fondamentali i Competence Center, luoghi d'incontro tra ricerca universitaria e aziende. Il 30 aprile si chiude il bando per i progetti pensati per la loro costituzione ma la strada non finisce qui. Nel 2019 partirà anche un fondo per l'innovazione con una dotazione fino a 150 milioni»
È quindi racchiuso qui il senso del cambio di dicitura da Industria a Impresa 4.0.
«In Italia la creazione di nuove competenze deve necessariamente partire dal basso ed estendersi verso l'alto non viceversa, questo lo scopo dei Competence Center. In ballo c'è poi tutto la questione del sistema duale sul quale dobbiamo puntare con maggiore decisione».
Si apre il capitolo Its, realtà che non si sono ancora collocate a pieno nel contesto formativo nazionale.
«Ancora una volta i numeri danno un quadro chiaro della situazione. Nel nostro Paese abbiamo 8mila studenti iscritti agli istituti tecnici superiori, in Germania sono 800mila. Alle aziende mancano le professionalità adeguate e su questo punto dobbiamo insistere. Abbiamo stanziato i fondi per aumentare nel breve periodo il numero di studenti, fino a toccare quota 20 mila. Il vero obiettivo però è la soglia di 100mila».
La strada da seguire è tracciata e i primi segnali dicono che l'economia italiana è in miglioramento.
«Grazie al Piano Made in Italy, a quello rivolto alla digitalizzazione e ad una strategia di sviluppo precisa ci sono tutte le basi per parlare di una ripresa industriale. Nel 2017 l'export è cresciuto del 7,4% in termini di valore mentre l'import è salito del 9%. Investimenti e esportazioni sono il vero percorso di crescita da seguire».
Il 4 marzo sarà però uno spartiacque...
«Il vero pericolo arriva da chi sbraita slogan da epoche passate, da pre-industrializzazione. Nel contesto globale è folle parlare di tassi protezionistici, e con ciò non intendo i dazi anti dumping, o di tasse sulla robotica come fa qualcuno, che propone addirittura di far ridiventare Alitalia una compagnia aerea pubblica».
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