Siamo all’uomo artificiale? Sì, ma questa è la preistoria
«Buongiorno a tutti sono Icub, robot dalle sembianze di un bambino dell'Istituto Italiano di Tecnologia di Genova nato dieci anni. Riconosco gli oggetti e li so afferrare, so parlare e mantenere l'equilibrio, ho la pelle sensibile e pian piano sto imparando a camminare. Cresco ogni giorno».
Sembra un film di fantascienza e invece è l'apertura dell'intervista al direttore dell'Iit Roberto Cingolani al Festival dell'Economia di Trento. Seduto sul palco del teatro Sociale insieme al professore e al giornalista Massimo Mazzalai c'è un umanoide realizzato dal centro di ricerca genovese, un pretesto e insieme una provocazione per parlare di robot e di intelligenza artificiale.
«Partiamo col dire che per gestire Icub servono 5 ricercatori e dei server. Non è autonomo ma è in mano alle azioni di un gruppo di persone e posso tranquillamente dire che siamo alla preistoria dell'uomo artificiale». Guardano Icub viene però da domandarselo subito, l'intelligenza artificiale potrà copiare quella umana? «Non si può ragionare in questi termini perché esiste una profonda differenza architetturale tra le due. Noi disponiamo di un sistema che ci permette di eseguire azioni quasi involontariamente, una macchina invece deve eseguire calcoli complessissimi prima di poter agire. Queste capacità di calcolo sono talmente potenti che possono far sì che abbia comportamenti simili a quelli dell'uomo ma non saranno mai gli stessi».
E in termini di autocoscienza? I robot saranno in grado di avere capacità creative? «In questo ambito siamo lontani anni luce da una svolta. Il massimo che le macchine sono in grado di fare, se connesse a pc veramente potenti, è interpretare domande semplici e dare risposte altrettanto semplici. Cominciano a capire le intenzioni ma non si può parlare di capacità creativa. Quella è caratteristica unica dell'uomo, data dalla sua biochimica che è insieme forza e difetto, non replicabile da un robot».
Non bisogna quindi temere scenari da film di fantascienza dove le macchine si sostituiscono alle persone. «La cosa che deve lasciare più tranquilli è che dispongono sempre di un pulsante per spegnerle e che prima o poi le batterie si esauriscono. È altresì vero che si sono fatti grandi passi in avanti nello sviluppo degli umanoidi e presto entreranno nelle case per assistere nei lavori domestici o per supportare nei servizi di sostegno ai disabili o agli anziani. Fra non tanto saranno milioni le macchine connesse al cloud».
Un rischio quindi c'è. «Le macchine fanno quello che l'uomo dice loro di fare quindi, se un rischio si può vedere, è nella gestione delle potenzialità della tecnologia. Per questo motivo è necessario avere cittadini informati e culturalmente preparati ad affrontare il cambiamento. Nessun timore però, non si sostituiranno a noi, le nostre paure sono determinate da un senso di minaccia della specie per qualcosa che è diverso».
Uno degli scenari più prossimi è quello delle macchine a guida autonoma. Come immagina il futuro? «Se questi veicoli si muovessero in spazi dove sono gli unici a spostarsi credo che gli incidenti sarebbero ridotti quasi allo zero, con cifre vicine a quelle del traffico aereo. Lo scenario cambia se invece li si colloca in tracciati dove girano anche macchine condotte da persone in carne e ossa. In questo caso la coesistenza sarebbe praticamente impossibile perché la variabile umana fa saltare gli schemi dei computer». Vedremo. Il quadro, così come lo vede un tecnico di riconosciuta qualità, è un po’ questo. Ora, al di là ed oltre gli aspetti più "psicologici" del tema (le nostre paure) è però fuor di dubbio che resta - e resterà, potentissimo - il tema del lavoro. Da qualche parte qualcuno perderà qualcosa. E non è sempre detto che quel che si perderà lo si potrà ritrovare sotto altre forme.
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