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Sfide e opportunità del 4.0: la vera rivoluzione è nei servizi

Maria Chiara Carrozza, docente di Bioingegneria alla Scuola Sant’Anna di Pisa, al Collegio Universitario Luigi Lucchini
  • L'apertura dell'anno accademico al Collegio Lucchini
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AA

Che mondo che sta venendo avanti. Magnifico e inquietante, sorprendente certamente, inimmaginabile ai più. In quello che forse un po’ sbrigativamente sintetizziamo come mondo 4.0 ci sta dentro un sacco di roba. C’è l’automazione, ma questo è solo l’aperitivo. Ci stan cose che noi umani non sappiamo neppure immaginare, verrebbe da dire facendo il verso al Blade Runner. Ma qualcuno le immagina. E le sa raccontare queste cose, le fa in qualche modo vedere forte di un fatto semplice-semplice: che le fa, almeno un po’.

Maria Chiara Carrozza ieri era al Collegio Universitario Luigi Lucchini ad aprire l’anno accademico con annessa lectio magistralis: «Industria 4.0: le nuove sfide ed opportunità». Titolo semplice, contenuti stellari, capacità comunicativa e di coinvolgimento più che sostenute. Breve chiacchiera prima della lezione, con libero utilizzo - ai fini di questa intervista - del materiale poi presentato.

Ma il 4.0 è più sfida o opportunità?
«Un po’ e un po’. Come sempre, per cogliere le opportunità bisogna correre qualche rischio, accettare di raccogliere la sfida. Vale in tutte le cose della nostra vita».

E questa a giudizio suo è una nuova vera rivoluzione?
«Lo si vedrà. Toccherà agli storici dire se quella che stiamo vivendo è vera rivoluzione. Forse sì. Ma mi pare un po’ presuntuoso da parte nostra dirci che stiamo facendo una rivoluzione».

Molta gente si dice preoccupata, confusa. Questa idea dell’automazione spinta o dei robot in fabbrica mette qualche apprensione.
«Capisco. Io penso che i timori diffusi nascano quando ci siamo resi conto (e sempre più ce ne renderemo conto) che l’automazione (chiamiamola così) arrivava nei servizi, che sta entrando nelle nostre case. L’esempio più immediato che può sintetizzare questa evoluzione è quella del tasto/voce: prima per fare molte cose in casa avevamo (e abbiamo ancora, intendiamoci) un tasto (accendi la luce, spegni la luce, su la caldaia, giù la caldaia). Oggi c’è la voce: si comandano gli impianti con la voce: è arrivato il digitale».

In realtà, a me pare che ci sia molta preoccupazione sotto le fabbriche più che nelle case.
«Guardi, nelle fabbriche un po’ di automazione è da un po’ che c’è. Poi sarà più o meno spinta e sempre più andrà in quella direzione. Per alcuni aspetti le fabbriche - il manifatturiero - dal punto di vista della preoccupazione sui posti di lavoro diciamo che ha già dato un bel po’, il resto meno, molto meno. Ed è qui che sta arrivando quella che chiamiamo rivoluzione».

Lei dice che sono i servizi quelli coinvolti maggiormente in questo passaggio.
«Direi di sì ed è ben più che un passaggio. E siamo solo agli inizi. Guardi quel che capita in banca: siamo noi clienti che facciamo i bonifici e registriamo pagamenti e se ci servon soldi andiamo al bancomat e già adesso molti pagano col telefonino. Mi dica lei: che futuro può avere il lavoro in banca? Ma è solo un esempio. Guardiamoci in giro: quanto roba automatizzata vediamo? Parcheggi, poste, biglietti ferroviari e avanti. Cose automatizzate ormai gestibili via smartphone».

Andiamo più o meno serenamente verso la fine del lavoro?
«Non credo. Un po’ di lavoro continuerà ad esserci, ma quale non si sa. Un impatto sociale ci sarà. evidentemente. Bisogna prepararsi all’impatto e ai nuovi lavori».

Questa è una storia che si sente ripetere spesso: prepararsi ai nuovi lavori. Ma quali, scusi...
«Non lo so, nessuno lo sa. Possiamo ragionevolmente immaginare che nel 2030, guardi che è un termine molto vicino, l’85% delle professioni che allora verranno richieste ancora non le abbiamo, non le conosciamo ancora. Ma ai ragazzi dico oggi: badate che le aziende non trovano un tecnico su tre. Comincerei da qui: dalle figure professionali che le aziende cercano e non trovano».

È uno dei limiti alla nostra crescita: abbiamo pochi laureati e ne servono di più...
Sicuramente. In Italia servono più laureati, questa è la grande sfida. Dobbiamo recuperare un analfabetismo digitale preoccupante.La formazione è l’infrastruttura base del 4.0. Qui tocca anche alla politica muoversi. Il 4.0 è un programma della politica che ha detto investiamo insieme - pubblico e privato - per gestire la trasformazione. Ma per gestire la trasformazione serve preparazione e quindi serve formazione. Serve anche molto altro, ma partiamo dalla formazione».

Perdoni, che molto d’altro ci manca?
«Lei sa che oggi chi controlla i dati controlla il mondo. Ma i grandi data storage, i magazzi-dati, stanno per la gran parte fuori dall’Italia. Poi non abbiamo terre rare, essenziali per realizzare componenti fondamentali per la tecnologia 4.0: l’85% le ha la Cina, anche col controllo di territori africani. Ci mancano molte cose, ma qualcosa si può cominciare a fare: la formazione è una di queste».

A lei piace chiudere i suoi interventi invitando ad una lettura anche un pubblico non specialistico. Il consiglio per oggi quale potrebbe essere?
«Direi Robbie, di Isaac Asimov, scritto nel 1940. Il racconto di un robot positivo. A suo tempo una pietra miliare nella cinematografia. Oggi di qualche aiuto anche a noi, ad immaginare robot che ci aiutino a costruire un mondo migliore. Le sfide che abbiamo davanti sono immense. Basta leggere quel che le Nazioni Unite scrivono: avanti con coraggio e fiducia».

 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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