GdB & Futura

Non si tratta di schiacciare il telecomando, ma di farne a meno

Rodolfo Faglia, docente di Meccanica industriale a Ingegneria, spiega come vede Industria 4.0
Rodolfo Faglia. Da trent’anni in facoltà. «I grandi si muovono, ma c’è dinamismo anche fra le piccole aziende» - © www.giornaledibrescia.it
Rodolfo Faglia. Da trent’anni in facoltà. «I grandi si muovono, ma c’è dinamismo anche fra le piccole aziende» - © www.giornaledibrescia.it
AA

Quattropuntozero di qua e 4.0 di là. Nuove tecnologie, tecnologie abilitanti, sensori, connessioni, robot e Iot, quarta rivoluzione industriale e nuovo che avanza. Ma alla domanda semplice-semplice, del normale cittadino che si interroga su questo tripudio di novità e che si domanda sul che cosa sia questo benedetto 4.0, le risposte - a partire da chi scrive - ondeggiano.

Meglio andare sul sicuro, meglio andare da chi insegna, meglio ancora se da una cattedra universitaria. Qualcuno alzerà il sopracciglio. Ce ne faremo una ragione. Lezione basic sul 4.0 replicando (pari pari) quanto già pubblicato nei mesi scorsi. Rodolfo Faglia, 55 anni, a dicembre farà i trent’anni di insegnamento (auguroni!).

Al tempo, lui aveva da poco dismesso le braghe corte e l’università bresciana muoveva i primi passi. Centinaia, migliaia di ragazzi, si sono laureati con lui.

Allora professore, le faccio papale papale la domanda: cos’è il 4.0?
Faccio un esempio, magari un po’ lungo, ma che mi pare emblematico per capire i diversi passaggi che ci stanno portando al 4.0. L’esempio è quello del cancello di casa. Fino ad un po’ di anni fa, si arrivava con l’auto davanti al cancello, si scendeva, si apriva con la chiave, lo si spingeva, si entrava, quindi si ridiscendeva e lo si chiudeva. Diciamo che l’uomo controllava e faceva tutto. Poi si sono installati dei motori con i braccini al nostro cancello. Forza meccanica. Ma bisognava comunque scendere e schiacciare un bottone. Poi è arrivato il telecomando. È l’inizio della vera automazione, arriva l’elettronica. Ma la decisione se e quando aprire toccava (e tocca, per la gran parte) ancora all’uomo: io decido di schiacciare il telecomando.

Perdoni professore, col telecomando non siamo ancora al 4.0? Più automazione di questa...
No, non ci siamo ancora. L’automazione non è 4.0. L’automazione c’è già. Serve ancora qualche passaggio. Torniamo al nostro cancello. Eravamo rimasti al telecomando. Ancora un passo avanti. Poi è arrivato il lettore ottico, c’è già, anche se non è diffusissimo. In pratica c’è una telecamera che riconosce la macchina e quindi non serve il telecomando: legge la targa, il sistema ha in memoria a quali auto aprire e quindi dà (o non dà) il via libera.

Beh, ma qui già siamo a livelli avanzati di automazione.
Sì, ma non basta. Lei insiste con l’automazione ma non è ancora 4.0. Ma adesso ci arriviamo. La telecamera, abbiamo detto, riconosce la targa. Ma se la macchina fosse stata rubata? Oppure se dei malintenzionati applicassero una targa falsa? E allora servono telecamere e software che facciano un passo avanti. Per esempio che riconoscano chi sta alla guida e magari abbiano in memoria lo stile di guida. È questo il livello di intelligenza (artificiale) che si chiede alle macchine e ai sistemi 4.0. E l’esempio è finito. Aggiungo quindi una considerazione importante: il 4.0 non è solo tecnologia, ma la pianificazione dell’uso della tecnologia.

Perdoni: perchè è una considerazione importante?
Perchè è il cuore del problema, perchè le nostre aziende spesso si fermano un passo prima, al 3.5. Non basta avere sensori che segnalano l’arrivo dell’auto (per restare all’esempio) ma serve un sistema che riconosca, come detto, lo stile di guida, il guidatore. Il 4.0 è il sistema, l’insieme di tecnologie che affidano alle macchine funzioni sin qui proprie dell’uomo. Per restare all’esempio: è come se davanti al nostro cancello stazionasse stabilmente un guardiano che, prima di aprire, si guarda l’auto e mette la testa dentro l’auto per capire chi sta alla guida.

Lei ha una visione ampia del panorama, molti dei suoi ex studenti oggi guidano aziende e lei stesso in alcuni casi è consulente. A che punto sono le nostre fabbriche sul tema?
«Per quanto posso vedere io, le grandi aziende si stanno muovendo, almeno la buona parte. Ma anche le piccole si stanno attrezzando. Me ne accorgo dalle richieste che mi fanno, mi dicono se ho sottomano, diciamo così, un ingegnere a spettro ampio.

Richiesta inconsueta. Un ingegnere a spettro ampio?
Oggi questo chiede il mercato. Ingegneri che sappiano un po’ di meccanica, un po’ di elettronica, un po’ di sensoristica. Un ingegnere che possa coprire uno spettro ampio di conoscenze, perfetto per le piccole imprese e perfetto per le nuove tecnologie che sono un mix di cose diverse.

La specializzazione diventa un po’ vintage?
Naturalmente gli specialisti serviranno sempre. Ma, oggi, la figura del tecnico universale è quella che meglio si adatta non solo alla taglia delle nostre aziende, ma anche a quel che il mercato chiede: specialisti un po’ di tutto. Del resto, il corso di automazione industriale quest’anno segna +40% nelle iscrizioni. Anche gli altri corsi crescono, intendiamoci, ma non certo del 40%. E il corso di automazione è il più ibrido, il meno specialistico, diciamo.

È interessante quel che dice sulle Pmi. Secondo lei quante delle piccole aziende stanno investendo in questa direzione?
Direi il 20%, un altro 20% ci sta pensando ma non è ancora partito. Il resto verrà. In questo servirebbe un apporto delle grandi aziende che devono capire che, fra le nuove funzioni, gli toccherebbe quella di essere navi-scuola, di accompagnare i più piccoli. Il 4.0 è la versione tecnologica del contratto di Rete. I grandi devono capire che si devono aprire, farsi vedere e far vedere. Ha poco senso essere grandi in un deserto. Tutti dicono che bisogna aprirsi, ma tutti (o quasi) sperano che siano gli altri a farlo. Non funziona così, non funziona più così.

 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

Condividi l'articolo

Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato