L’Intelligenza Artificiale ridisegna il mondo: serve formazione
È lecito parlare di centralità della persona nel mondo digitalizzato e automatizzato del 4.0? Può suonare come una provocazione, eppure è una domanda centrale nel dibattito sull'intelligenza artificiale. Risposta, comunque, affermativa. Almeno per quanto riguarda Franco Docchio, Carlo Galimberti e Marco Bentivogli, relatori a «Intelligenza artificiale 4.0. Dalla manifattura tradizionale all'impresa digitale», l'incontro promosso dal Giornale di Brescia, dalla Ibs Consulting di Alberto Bertolotti e dalla e Smae (la scuola di alta formazione dell'UniBs diretta da Mario Mazzoleni), che si è tenuto mercoledì scorso nella sala Falcone e Borsellino dell'Università degli Studi di Brescia.
Per il prof. Docchio, docente a Ingegneria meccanica, occorre anzi introdurre il concetto di sistema uomo 4.0. Nel mare magnum delle cose che ci e si parlano e della quantità enorme di dati destrutturati, non solo si è ormai passati al «controllo del lavoro di chi controlla il lavoro attraverso il digitale», ma si è giunti alla possibilità di rivestire l'uomo di sensori esterni e interni, che permettono di controllarne i parametri vitali a distanza e fare diagnosi online. Questa frontiera impone nuovi paradigmi e competenze. E chiama in causa, sostiene Docchio, «una nuova cultura della formazione, che spinga le imprese a entrare nelle università, con borse di studio, contamination lab e corsi di aggiornamento. Bisogna lavorare insieme a una human-based technology».
Di fatto, l'intelligenza artificiale trae ispirazione da facoltà prettamente umane e si sviluppa in modo tale da potenziarle. «L'interazione, l'empatia, la capacità di conversare e lavorare in gruppo: tutto questo viene reinterpretato e utilizzato in chiave digitale - ha spiegato Carlo Galimberti, docente di psicologia sociale all'Università Cattolica di Milano -. Oggi si può lavorare in team a distanza e le chatbot come Siri della Apple o Alexa di Amazon sono disegnate in modo tale da imitare le conversazioni umane. Il che rivoluziona il nostro modo di lavorare ma anche i problemi che ci troviamo a risolvere».
Al proposito Marco Bentivogli, segretario della Fim-Cisl, non ha usato mezzi termini: «L'Italia è un paese tecnofobo, siamo pieni di "Salvini dei robot". Temiamo la tecnica, mentre i robot potrebbero sostituire le persone nei lavori meno dignitosi». Il problema quindi non consiste tanto nell'innovazione tecnologica in sé, ma è più che altro una questione di mentalità.
Andrebbe costruito un ecosistema intelligente, i cui benefici sono già stati dimostrati dal Max Planck Institute. Servirebbe cioè un'impresa in cui sostenibilità e innovazione vadano di pari passo per generare profitto, e in cui si puntasse sull'upgrade professionale delle persone. Non fruitori passivi della quarta rivoluzione industriale, ma attori protagonisti delle sue opportunità.
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