I big data sono il futuro, ma il marketing non lo sa ancora
Sono l’Eldorado dell’impresa del presente e del futuro ma per molti rimangono un tabù. I big data, quell’enorme mole di informazioni che quotidianamente un’azienda produce nonché la capacità di analizzarli e usarli, non sono più quell’oggetto misterioso che erano fino a poco tempo fa. «In quasi due anni abbiamo intervistato 60 aziende del Bresciano, che operano nei più diversi settori - racconta Alfredo Rabaiotti, fondatore della Becom di Brescia, società di consulenza organizzativa -. Soprattutto nel manifatturiero abbiamo rilevato come i dati non solo ci siano, grazie all’utilizzo di macchine all’avanguardia e di Erp, ma vengano utilizzati per migliorare il processo produttivo».
Detto così sembra che tutto vada per il meglio ma il problema nasce proprio da qui. «Vengono appunto usati in produzione ma da lì poi non escono - spiega Rabaiotti -. Così facendo si sfrutta solo una piccola parte della loro potenzialità, perchè si ignora la loro utilità in tutti gli altri ambiti». Dall’amministrazione al marketing, dal commerciale alla qualità, le informazioni fornite dal «sistema fabbrica» sono il vero fattore di successo di un’azienda. Le aziende intervistate hanno elevate competenze tecniche «e in grado di gestire clienti globali con una discreta organizzazione di processo - sottolinea Rabaiotti -. Ma se guardo all’utilizzo dei dati nel marketing, ad esempio, siamo molto indietro. Come faccio a rapportarmi con una società estera se non sono in grado di usare le mie informazioni?».
Proprio qui si può parlare di necessità dei Big data, aldilà della loro applicazione in ambito produttivo. «Questi dati devono essere elaborati dalle persone e tradotti per essere utilizzati in tutti gli ambiti - conferma l’amministratore della Becom -. Mettere in relazione le conoscenze così acquisite decreterà il successo o la sconfitta». Relazioni quindi, tra dati e tra reparti ma anche e soprattutto tra le persone. «Nel corso dei nostri audit abbiamo anche capito che le aziende spesso dimenticano questo aspetto. La produzione, gli aspetti tecnici e persino quelli commerciali vengono tenuti in considerazione, la qualità della relazione, intesa come rapporto tra un’azienda e il suo cliente nel periodo che va dalla richiesta alla chiusura della collaborazione, invece no».
Nel report stilato in 20 mesi di incontri con le aziende è emerso come addirittura il 92% degli intervistati non tracci le dinamiche di relazione di una commessa, «basando la marginalità prevalentemente sui dati di produzione e non monitorando il livello di efficienza delle relazioni nel corso delle varie fasi di fornitura, sia pre sia post». Ed è in questo spazio vuoto che la Becom s’inserisce, proponendo la propria visione del Business process management (Bpm) per consentire «di digitalizzare i processi dell’impresa: dall’attribuire le attività agli operatori, al comunicare con staff, clienti e fornitori».
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