Fatte le macchine, adesso è tempo di plasmare i lavoratori
Impresa 4.0, capitolo due. Fatte le macchine, bisogna (ri)fare i lavoratori. Perché investire nell'acquisto di tecnologie di ultimissima generazione serve a poco se non si sa come usarle e la formazione va rivolta in primis alla generazione di mezzo. I quarantenni, quelli che non sono né appena usciti dalle università né in procinto di andare in pensione. È soprattutto (ma non solo) sul fattore capitale umano che si fondano gli otto comptence center italiani, letteralmente centri di competenze, cioè poli in cui imprese e università si uniscono per traghettare l'Italia verso un pieno sviluppo del 4.0.
In occasione di una tavola rotonda organizzata dalla società di ricerca e selezione del personale Space Work a Brescia, abbiamo parlato con Marco Taisch, presidente del comptence center milanese Made, professore ordinario al Politecnico di Milano e tra i fautori del Piano nazionale impresa 4.0.
Formazione: perché?
Perché il 4.0 non è come l'automazione degli scorsi decenni: questa quarta rivoluzione industriale non funziona come le precedenti. Il cambiamento sta nella capacità cognitiva delle macchine, che possono essere programmate utilizzando modelli decisionali di gestione. Ma per farlo servono uomini e donne con competenze di raccolta, lettura e comprensione dei dati.
Prendiamo l'esempio delle automobili: se prima si passava da una Panda a una Fiat 500, adesso si è su una Ferrari: per sfruttarne le potenzialità non basta sapere guidare le utilitarie. Questa rivoluzione si farà in dieci anni, non c'è tempo di aspettare il turn over, va formato il personale già attivo, soprattutto la fascia tra i 40 e i 50 anni.
La maggior parte delle imprese mette però ancora in secondo piano la formazione…
Ci sono naturalmente esempi virtuosi, ma purtroppo non è ancora stata metabolizzata l'importanza di questo aspetto, che spesso viene visto come una perdita di tempo e denaro. Eppure gli strumenti non mancano. Nella legge di stabilità sono stati mantenuti gli incentivi fiscali, con il credito di imposta al 40% dedicato alla crescita delle competenze tecnologiche, e poi ci sono i competence center.
Lei è presidente di Made, uno degli otto competence center italiani, la cui società di gestione è stata creata giusto due settimane fa. Quale valore aggiunto porterà all'economia italiana e lombarda?
Porterà innanzitutto una risposta ai bisogni delle imprese. Abbiamo infatti analizzato il panorama nazionale, che, per quanto riguarda il 4.0, si presenta a macchia di leopardo: ci sono molte pmi che di 4.0 non sanno ancora nulla, altre che vi si sono appena introdotte senza però destreggiare ancora appieno gli strumenti e altre ancora che sono già a un livello tecnologico elevato. Alle prime vogliamo far scoprire il mondo 4.0, sfruttando i 2000 mq che avremo a disposizione nel campus Bovisa-Durando del Politecnico, con 14 isole dimostrative sulle principali tecnologie abilitanti: dalla progettazione 3D ai cobot, dai big data alla cyber security, dall'efficienza energetica alle interfacce uomo-macchina.
Alcune aziende sono avanti, altre indietro. Ma c’è un modo per misurare a che punto sono le imprese?
Certo che sì. Oltre all'orientamento, il nostro competence center farà anche formazione nella modalità concreta della "teaching factory", rivolta a chi, cioè, già lavora e deve sviluppare le proprie competenze, e aiuterà quelli che sono già campioni digitali a rafforzarsi. Infine, le imprese che lo vorranno potranno essere sottoposte a una sorta di "tac", cioè a una valutazione che permetterà ai dirigenti di capire quali strumenti hanno in mano, come li usano e come potrebbero migliorare macchine e competenze.
A proposito di competenze, quali sono le più richieste?
Difficile dirlo, perché spesso nemmeno gli imprenditori sanno di che cosa hanno bisogno, proprio perché in molti casi c'è ancora poca informazione sul 4.0 e in questo hanno un ruolo fondamentale i media. Basti pensare che il governo tedesco, per spingere le imprese al 4.0 non ha investito un centesimo, ha solo fatto campagna mediatica dando informazioni sull'argomento. In generale, servono ingegneri, tecnici e operai specializzati nelle fabbriche. Il problema è che nell'immaginario collettivo è rimasta l'idea della fabbrica come luogo tetro e malsano, perciò le famiglie non incentivano i ragazzi a svolgere quel tipo di professione. Anche in questo caso, la comunicazione riveste un ruolo essenziale.
Ma il 4.0 non è solo industria.
Certo che no. Il settore manifatturiero e l'automotive sono stati i primi a esserne interessati e sono oggi quelli in cui le tecnologie digitali sono più presenti, ma il 4.0 vale anche per altri ambiti, tra cui i servizi. A Parigi, per esempio, una gioielleria ha inserito telecamere legate a sensori che analizzano lo sguardo di chi osserva le vetrine. Attraverso le informazioni ricavate da tali strumenti, i commessi possono sapere quali sono i gioielli che più attirano un cliente prima che questo entri nel negozio e gli mostrano quindi merce in linea con i gusti rivelati. Da quando si è avvalsa di queste tecnologie, la gioielleria ha aumentato del 20% il fatturato.
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