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Uno scienziato bresciano ha osservato per la prima volta l'effetto della gravità sull'antimateria

Germano Bonomi, docente all'Università di Brescia, è uno dei firmatari dell'articolo che annuncia l'importante scoperta fatta al Cern
Il professore bresciano Germano Bonomi - © www.giornaledibrescia.it
Il professore bresciano Germano Bonomi - © www.giornaledibrescia.it
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Che ogni corpo cada verso il basso con la medesima accelerazione è uno dei principi fondamentali della scienza: si tratta dell’effetto della forza di gravità. Tutti noi infatti ricordiamo la mela di Newton: la «leggenda» narra che lo scienziato fu colpito da un frutto mentre si trovava sotto a un albero, evento che lo spinse a immaginare l’esistenza di una «forza invisibile».

Con le grandi scoperta del mondo della ricerca però questo paradigma si è arricchito di un nuovo, complesso quesito. La stessa forza ha effetto quando ad essere interessato è una particella esattamente identica a quella precedente ma con carica (e altri numeri quantici) opposta? Cosa accade quindi quando sull’antimateria (questo l’evocativo nome scelto per indicarla) agisce la gravità? Cosa accade quando ci si trova ad avere che fare non con la mela ma con l’«anti-mela».

Osservazione

Fino a pochissimo tempo fa per gli scienziati era un mistero assoluto ma adesso, grazie al lavoro del team di 70 persone che opera all’interno dell’Antimatter factory del Cern di Ginevra, tale fenomeno è stato osservato per la primissima volta nella storia dell’umanità.

«Sebbene l’interazione gravitazionale tra materia e antimateria sia stata oggetto di speculazioni teoriche sin dalla scoperta nel 1928 - afferma il professore bresciano di Fisica sperimentale all’Università degli Studi di Brescia Germano Bonomi, uno dei firmatari dell’articolo comparso sulla rivista Nature e uno dei tre italiani che lavorano nel team dell’Antimatter factory -, è la prima volta in assoluto che un esperimento mostra gli effetti della gravità su atomi di anti-idrogeno».

L'esperimento

L'esperimento Alpha - Foto Cern
L'esperimento Alpha - Foto Cern

Nell’esperimento condotto dall’Antimatter factory, iniziato a cavallo tra il 2005 e il 2006, gli atomi di anti-idrogeno vengono creati e rinchiusi grazie a un campo magnetico in una trappola verticale, tra due bobine «che determinano rispettivamente le barriere di potenziale magnetico inferiore e superiore» fanno sapere gli scienziati del Cern.

La strategia sperimentale è basata sul bilanciamento della forza gravitazionale con quella magnetica «ed è concettualmente semplice: intrappolare e accumulare atomi di anti-idrogeno nella regione desiderata; rilasciarli lentamente abbassando i potenziali magnetici superiore e inferiore della trappola verticale; cercare di misurare qualsiasi influenza della gravità sul loro movimento quando fuggono e si annichilano sulle pareti dell’apparato».

Così facendo l’effetto della gravità si manifesta «come una differenza nel numero di eventi di annichilazione (il risultato dell’interazione di una particella subatomica con la sua antiparticella e che genera un qualcosa d’altro ndr), dagli antiatomi che sfuggono attraverso la parte superiore o inferiore della trappola».

Dottoranda

Un padiglione del Cern - © www.giornaledibrescia.it
Un padiglione del Cern - © www.giornaledibrescia.it

Ma il contributo bresciano non si limita al determinante ruolo ricoperto dal docente valsabbino. C’è infatti un’altra importante sfumatura nostrana nella scoperta. L’articolo pubblicato su Nature infatti è stato firmato anche da Marta Urioni, friulana di nascita e dottoranda all’UniBs (c’è un terzo italiano parte del team, Simone Stracka dell’Infn di Pisa).

«È stato appassionante poter partecipare a questo tipo di ricerca, in un laboratorio come il Cern dove è possibile trovare i migliori scienziati al mondo - le parole di Urioni -. Ho potuto contribuire sia alla fase sperimentale di raccolta dei dati sia a quella dell’analisi per l’estrazione del risultato che, dentro gli errori sperimentali, è in linea con quanto atteso dalla Relatività generale di Einstein».

Cos’è l’antimateria

Tutto nasce, secondo il modello cosmologico standard, con il Big Bang, 13,8 miliardi di anni fa. Tutto nasce, sia la materia sia l’antimateria. Con quest’ultimo termine infatti si intende non qualcosa di inesistente ma atomi con una loro ben precisa massa. Solamente che rispetto al loro corrispettivo hanno carica opposta. Ciò significa che all’idrogeno corrisponde l’anti-idrogeno, all’oro l’anti-oro e così via.

Universo - Foto Nasa
Universo - Foto Nasa

E se questi, ma esclusivamente un elemento e il suo opposto specifico, entrano in contatto avviene quello che gli scienziati chiamano annichilazione. Con ciò si intende appunto il processo dove materia antimateria si «distruggono», creando una particella nuova e totalmente diversa da quella precedente «ad altissima energia, mediatrice di forza - scrive l'Istituto nazionale di fisica nucleare -. Questi mediatori di forza, a loro volta, possono decadere dando vita ad altre particelle».

Il mistero per la scienza è però capire dove questa antimateria si trovi in natura, visto che gli studi dicono che fu creata ai tempi del Big Bang ma se ne trovano piccolissime quantità. Nonostante ciò l’antimateria è già da tempo una realtà concreta, tant’è che viene utilizzata con successo in alcuni ambiti, in primis quello medico. La tomografia a emissione di positroni o Pet (Positron emission tomography), è infatti uno strumento di diagnostica che sfrutta proprio l’antimateria, inoculata nel paziente per via endovenosa. Questa metodologia permette di misurare in modo molto preciso le funzioni metaboliche e le reazioni biochimiche in vivo e ha larga applicazione nelle neuroscienze, in oncologia e cardiologia.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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