La storia del brescianissimo Pirlo secondo Beppe Viselli
Lui ha annunciato da poco il suo addio al bancone, ma la sua esperienza tra aperitivi, bicchieri e miscele può gettare luce sulla nascita dell'aperitivo bresciano, il Pirlo.
All’inizio fu solo l’incontro fra un vino bianco di scarse pretese con le mille risorse di chi in tasca aveva davvero poche «palanche»: questa l’origine del pirlo, almeno secondo Giuseppe «Beppe» Viselli, comandante di lungo corso dei baristi di casa nostra.
L’albero genealogico. La proclamazione del pirlo aperitivo dell’anno da parte del New York Times non ha dissolto il mistero sulla sua origine. Brescia rimane, infatti, terra di confine anche quando si parla di drink, a metà strada tra i bar storici di Milano e Venezia. Nel tracciare l’albero genealogico del pirlo, di solito, si scomodano i soldati austriaci che nell’800, occupati la Lombardia ed il Veneto, si dice abbiamo dato vita allo spritz. La bevanda era nata per stemperare, inizialmente con acqua di pozzo, il nostro vino, un po’ troppo robusto per le truppe di sua maestà imperiale. La spiegazione non fa una piega perché in buona parte del Lombardo-veneto austriaco si ritrovavano vini preparati in questa maniera, come ad esempio il «bianchin sprüssà» milanese o il nostro «bianco sporco».
Eppure Beppe Viselli, più realista, ipotizza la nascita del pirlo sempre nell’800, ma con un’origine più popolana e locale. Il nostro aperitivo, signore dei sabati sera, altro non sarebbe che l’ingegnosa soluzione escogitata da cavatori e contadini per trasformare il vinello bianco scadente che potevano permettersi - «un vino di buon comando», per usare il preziosismo tecnico di Beppe - in qualcosa che avesse un gusto migliore. Si aggiungeva così dell’acqua poi un amaro come il Cora, ed infine, con il ’900, i vari Campari ed Aperol.
Il nome. E la definizione «pirlo»? Dimenticate immaginari signor Pirlo baristi che l’avrebbero battezzato col proprio cognome. Per Viselli con il termine dialettale «pirlo» si descrive il movimento che faceva il liquore, più denso, una volta caduto nel vino.
Da dietro il bancone, Beppe ricorda come a cavallo tra gli anni ’40 e ’50 gli avventori chiedessero «un pirletto», bevanda che spesso tendeva a confondersi col cosiddetto «bianco sporco». L’inizio del trionfo con gli anni ’80 e la consacrazione dell’aperitivo a evento sociale. Il pirlo dunque ha una storia parallela allo spritz ma parla il dialetto delle nostre contrade. È una parte della tradizione che va rispettata, come sottolinea Viselli quando gli si fa presente il vezzo di quei bresciani che, nei bar della Leonessa, per non passar da provinciali, ordinano uno spritz.
Una vita. E di tradizione Viselli ne sa qualcosa: classe 1931, ma solo per l’anagrafe, ha cominciato a muovere i primi passi nei bar e nei ristoranti nel 1943, come cameriere. Vede piovere bombe dal cielo ed entrare i panzer tedeschi da viale Rebuffone eppure lui, ancora ragazzino, impeccabile con la divisa bianca e i capelli con la brillantina, serve impavido tra i tavoli ed osserva il padre Alberto, storico cameriere in locali che non ci sono più di una Brescia in bianco e nero. Nel dopoguerra la voglia di rinascita passa anche nei bar di Milano, Venezia, Roma, in cui il nostro presta servizio, incontrando personaggi come Sean Connery, Walter Chiari, i giocatori del Grande Torino. Nel ’68 decide di mettere a frutto tutta questa esperienza, portando un po’ di dolce vita e di quella Costa Azzurra che ama, nella sua Brescia da cui non riesce a staccarsi a lungo. Comincia con un locale in piazza Vescovado, il primo Gin Bar, attraversando decenni di storia bresciana, inventando drink, mode, motti e captando umori dei clienti. Perché un buon barista è, innanzitutto, un bravo ascoltatore che sa capire anche tra le righe. E quando a Beppe Viselli, istrionico genius di molte notti bresciane insieme al figlio Roberto, chiedete la cosa più importante della sua carriera, lui vi guarderà un attimo e, spiazzandovi con stile, vi risponderà: «La gioia di aver servito».
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