Tutte le misure precauzionali per contenere la peste suina nel Bresciano
«L'emergenza ad oggi è contenere la diffusione del virus della Peste suina africana, la PSA. Per farlo tutti, non solo gli allevatori di suini, sono tenuti ad osservare delle misure precauzionali per evitare che la malattia raggiunga il nostro territorio e finisca a colpire la filiera dell'allevamento». A sostenerlo a Brescia in un convegno che si è svolto all'Istituto Paolo VI («Biosicurezze nel suino») , alla presenza di allevatori e veterinari, è Angelo Ferrari, direttore dell'Istituto zooprofilattico di Piemonte, Liguria e Valle d'Aosta, e nominato dal Governo come «Commissario straordinario per l'emergenza peste suina».
Il danno
Il virus è stato rilevato in Liguria nei primi giorni di gennaio: «Il caso ha portato nei mesi successivi a contare 244 animali contagiati. In Piemonte ad oggi abbiamo avuto 125 casi, 70 in Liguria e 49 nel Lazio più due domestici. Cinghiali che sono stati colpiti dal virus e che sono morti a seguito delle febbri emorragiche che la peste suina africana comporta» spiega il tecnico del Ministero. Per questo l'appello che il Commissario rivolge anche a Brescia è affinché «non si faccia allarmismo, ma si deve stare attenti ad applicare senza deroghe le misure di prevenzione come le disinfezioni delle attrezzature, della calzature e dei battistrada. Per questo serve anche una continua collaborazione tra allevatori e Ats, in modo da ridurre al minimo i rischi. Come Paese non ci possiamo davvero permettere un'altra mazzata, che metterebbe in tilt l'intero settore. Il fenomeno peste suina ha già prodotto nella zona infetta, tra Ligura e Piemonte e con un focolaio in Lazio (a maggio 2022), una perdita di circa 20 milioni di euro al mese alle imprese. Se si dovesse diffondere la malattia in zone ad alta vocazione suinicola si arriverebbe ad un danno stimato di oltre 60 milioni di euro al mese, sino a quando verrebbe intaccata l'intera filiera DOP con la sospensione della produzione. Un danno la cui entità ad oggi è incalcolabile».
I dati
Come detto la peste suina africana è giunta in Italia nel gennaio 2022. Si tratta di una malattia che non colpisce l'uomo, ma arreca molti danni per mortalità negli allevamenti di suini domestici - sino al 100% della mortalità - e il blocco dell'esportazione dei prodotti di salumeria per prevenirne l'ulteriore diffusione, con un grande danno economico per tutti operatori del settore, oltre che d'immagine per il nostro Paese.
Tra le misure di controllo rientra la verifica di tutti i cinghiali deceduti trovati in natura, anche quelli morti a seguito di incidenti, con un campionamento della carcassa dell'animale e la distruzione della stessa.
Dai dati epidemiologici del Ministero della Salute si legge come nel 2014 è esplosa un'epidemia di PSA in alcuni Paesi dell'Est dell’Unione europea. Da allora la malattia si è diffusa in altri Stati Membri, tra cui Belgio e Germania, mentre in ambito internazionale è presente in Cina, India, Filippine e in diverse aree del Sud-Est asiatico, raggiungendo anche l'Oceania (Papua Nuova Guinea).
Dal 5 gennaio 2022 la malattia è stata confermata in diversi cinghiali in Piemonte, nella provincia di Alessandria, e Liguria, nelle provincie di Genova e Savona. Il 5 maggio 2022 è stata inoltre riscontrata anche nel Lazio, in un piccolo cinghiale nella zona nord della città di Roma. Precedentemente in Italia la malattia era presente unicamente in Sardegna, dove negli ultimi anni si registra un costante e netto miglioramento della situazione epidemiologica. Il virus riscontrato nell'Italia continentale è geneticamente diverso da quello circolante in Sardegna e corrisponde a quello circolante in Europa da alcuni anni.
«Il problema in questi casi è dato dal consumo di carne di cinghiale infetto da parte dell'uomo con gli avanzi smaltiti in ambiente e messi a disposizione degli animali che fungono così da vettore. Banalmente dalle indagini è emerso che un gruppo di militari Nato si sarebbe fermato lungo una strada di un Paese dell'Est a fare una colazione, lasciando gli avanzi in pasto agli animali selvatici. Gli insaccati consumati erano infetti e da lì si è diffusa l'epidemia ai selvatici e quindi in Europa» spiega Ferrari.
Un caso recente rilevato a Cuneo era invece nato dal fatto che il titolare dell'allevamento aveva dato ai propri maiali gli avanzi di un piatto tipico che si era portato dalla Sardegna, il «Porceddu». «Non tutti sanno che a causa della peste suina, da anni le carni suinicole sarde non si possono esportare. Da anni i focolai sono spenti eppure l'embargo continua perché a torto o a ragione l'Unione Europea non ha ancora emesso un provvedimento formale di eradicazione della malattia. Resta dunque il divieto di esportazione per evitare la diffusione del virus" continua Ferrari.
L'appello
Da qui, dunque, l'appello del Commissario a Brescia: «Si deve fare la massima attenzione alla peste suina. Guai ad abbassare la guardia o rischiamo di andare verso un disastro delle filiera suinicola. A Brescia si contano circa 1,5 milioni di suini. In Lombardia ci sono circa 5 milioni di capi e in Piemonte 1,5 a fronte di un totale nazionale di 8.6 milioni di capi».
Per questo il Commissario ha disposto una serie di interventi: nei territori sottoposti a Priu («Piano interventi Urgenti») è prevista la recinzione degli stabilimenti per impedire il contatto coi cinghiali mentre si cerca di impedire il contatto dei cinghiali con i rifiuti alimentari mentre la caccia avverrà in biosicurezza. Intanto dalla cooperazione di tre Ministeri sono state realizzate delle misure fisiche per ridurre la circolazione dei cinghiali dalle zone «infette» con la posa di barriere fisiche di contenimento.
«Abbiamo avuto 10 milioni a disposizione per mettere delle reti come barriere di contenimento ai cinghiali tra Liguria, Piemonte e Lombardia. Abbiamo chiesto altri 6,7 milioni al Governo per completare le barriere mentre la Regione Lombardia ci ha messo a disposizione 1,5 milioni. I lotti progettati di reti sono 8 su 9 ipotizzati. Su 140 km di reti progettate sono state realizzati ad oggi 105 km e si procede di conseguenza. Le reti posate sono metalliche, a maglia larga, alte un metro e mezzo e sono rette da pali in legno di castagno. Sono fissate a terra da picchetti in modo da poterle spostare se si dovesse ampliare la zona. Per la loro posa abbiamo avuto non poche polemiche, ma la questione sanitaria e il contenimento dei selvatici potenzialmente infetti è fondamentale. Gli ultimi anni sono stati molto complicati per tutti con la pandemia: abbiamo subito gli effetti economici del Covid 19, poi il caro materiali e il caro energia. Non possiamo permetterci un'altra emergenza», conclude il Commissario.
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