Non cresce il numero di donne che lavorano: sono ferme al 40%
Rimane ancora troppo ampio il gap occupazionale di genere. Nel 2023, dei 549mila occupati stimati dall’Istat in provincia di Brescia nella indagine campionaria sulle forze di lavoro, le 224mila donne rappresentano poco più del 40% del totale. Una quota non diversa, peraltro, da quella degli anni precedenti poiché le donne rappresentano costantemente, con oscillazioni decimali, il 40% degli occupati bresciani nell’ultimo decennio. Una presenza nel mondo del lavoro che è di quattro punti percentuali inferiore alla media regionale e del Nord- Ovest. In altri termini, restando al 2023, a fronte del 41,7% di occupazione femminile in provincia di Brescia (nella fascia 15-89 anni), c’è il 45,9% della Lombardia, il 44,1% dell’intero Nord-ovest, per non parlare del 45,9% della provincia di Milano. Ma, anche uscendo dai contesti territoriali di riferimento, il quadro non cambia: nel 2023 le donne occupate a Brescia sono il 40,7% del totale a fronte del 42,4% della media nazionale, isole comprese. Si possono azzardare spiegazioni complesse, magari legate alla specializzazione manifatturiera del territorio bresciano, ma questi sono i numeri. Poi, volendo andare più a fondo, dobbiamo ricordare che sulle donne pesa il maggiore carico di precarietà, di occupazione a tempo determinato e, soprattutto, di part time.
La nota dell’Inps di Brescia «Rendiconto sociale provinciale: un approccio di genere» documenta come il 49,6% delle donne hanno una presenza a tempo parziale, a fronte del 13,4% dei maschi. E non è sempre una decisione volontaria poiché, come documenta l’Istat in numerose ricerche, il ricorso al tempo parziale per il 58% dei lavoratori e, soprattutto lavoratrici, non è una scelta.
Nei Comuni bresciani
L’Istituto nazionale di statistica ci offre, con i dati dell’ultimo Censimento generale del 2021, uno spaccato della condizione occupazionale delle donne nei 205 Comuni bresciani che presenta, ovviamente, una ampia gamma di condizioni. Iniziamo col dire che i dati reali del Censimento, effettuato nel 2021, registrano 235.235 donne occupate in provincia di Brescia, il 42,8% del totale, un valore comunque inferiore al 43,9% della media regionale, a fronte di un tasso di occupazione che per i maschi è nell’ordine del 61,4%.
La presenza delle donne tra gli occupati è assai differenziata nei comuni bresciani con un’oscillazione che va dal 53,7% di Azzano Mella al 20,4% di Magasa. Tassi di occupazione femminile relativamente elevati si registrano anche a Limone sul Garda (51,6%), Castel Mella (51,5%) e Brione (50%), con valori di poco inferiori a Paratico (48,8%), Rodengo Saiano e Polpenazze del Garda (48,6%), Muscoline (48,4%) e Monticelli Brusati (48,2%). La città ha un tasso di occupazione delle donne fissato al 42,7%, che è in linea con il dato medio provinciale (42,8%). Tra i comuni maggiori, quelli con oltre 10mila abitanti, il tasso di occupazione femminile risulta più elevato a Castel Mella (51,5%) che precede con valori superiori al 46%, Concesio (46,3%), Lonato del Garda, Montichiari, Castenedolo e Mazzano (46%).
Valori più bassi si incontrano a Darfo Boario Terme (39,8%) e Gardone Val Trompia (39,9%) mentre il tasso di occupazione femminile resta sotto il 41% anche a Lumezzane (40,4%), Orzinuovi, Salò, Chiari e Villa Carcina (40,8%). C’è poco lavoro per le donne nei piccolissimi centri, con il tasso di occupazione femminile che non arriva al 36% in una decina di Comuni: Magasa è fermo al 20,4% ma non brillano nemmeno Saviore dell’Adamello (28,5%), Capovalle (30,8%), Vione (32,5%), Lozio (32,7%), Paisco Loveno (32,9%), Valvestino (34,8%), Incudine (35,2%), Anfo (35,3%) e Pertica Bassa (35,5%).
Gap maschi-femmine
Come osservato in precedenza, il gap di genere, ossia la differenza tra il tasso di occupazione maschile e femminile, è quindi, nella media provinciale, pari a 18,6 punti percentuali. Che non è poca cosa. Molti fattori impattano sulla sfera occupazionale, a partire dal pregiudizio che inquadra la donna come principale se non unica responsabile del lavoro di cura. Tale paradigma è non solo causa, ma anche conseguenza della scarsa offerta di servizi per la prima infanzia che non permette a entrambi i genitori di coniugare vita lavorativa e vita familiare e questo spinge uno dei due - quasi sempre la madre - a rinunciare del tutto o in parte alla propria occupazione.
Ma per ogni donna, anche senza figli, questo preconcetto sul lavoro di cura, che vale anche per gli anziani, influisce a priori sulle possibilità di essere scelta per un impiego rispetto a un uomo, a parità di competenze. È dunque un insieme di pregiudizi sociali e culturali, di carenze a livello normativo e di offerta dei servizi a limitare la partecipazione delle donne al mondo del lavoro. Tanto che, anche nella operosa provincia di Brescia, il tasso di occupazione femminile, fermo al 42,8%, è decisamente più basso rispetto al 61,4% dei maschi, con un gap di genere che rimane oltre i 18 punti percentuali. Alla faccia delle pari opportunità.
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