Stati Uniti al voto: cosa guardare stanotte
Si avvicinano le elezioni negli Stati Uniti. Le uniche che polarizzano (ancora) l’attenzione di tutto il mondo. Il nostro editorialista Mario Del Pero ha proposto sul suo blog alcuni consigli per seguire le elezioni stanotte. Li riproponiamo qui.
I primi dieci stati
Tra l’una e l’una e mezza ora nostra chiuderanno i seggi in una decina di Stati. Tra questi ci sono la Georgia e la North Carolina (swing states). Se i sondaggi sono affidabili, ci vorrà del tempo per avere il loro risultato, ma sarà interessante vedere i dati di stati dove l’esito è certo e che, sulla base dei precedenti del 2016 e del 2020, verranno annunciati quasi immediatamente.
Su tutti Indiana, Kentucky e Virginia. Trump vinse in Indiana con 19 e 16 punti di scarto nel 2016 e nel 2020, e di 30 e 26 punti in Kentucky. L’Indiana – a cui sono molto affezionato per averci vissuto un anno da ragazzo – ha alcune caratteristiche del Midwest e la presenza di due aree metropolitane a Gary e Indianapolis (che trascinarono Obama alla sorprendente vittoria del 2008); il Kentucky ha eletto un governatore democratico, Andy Beshear, ed è stata teatro nel 2022 di uno dei tanti referendum, anche in Stati conservatori, conclusosi con la chiara vittoria del fronte pro-diritto all’aborto.
Se il risultato di Harris fosse in linea con quello di Biden del 2020 o addirittura migliore, avremmo un primo segnale significativo. Così come lo avremmo se Trump dovesse andare meglio in Virginia – che ha invece eletto nel 2022 un governatore repubblicano, Glenn Youngkin – replicando magari il risultato del 2016 (quando Clinton vinse di 4.5 punti; quattro anni più tardi quelli a favore di Biden furono 10) o «sovra-performasse» tra l’elettorato giovane e nero in contee come quelle di Lake (Gary) o Allen (dove sta la seconda città per dimensioni dell’Indiana, Fort Wayne).
Georgia e North Carolina
Lo stesso se dovessero arrivare dati incoraggianti per l’una parte o l’altra da Georgia e North Carolina. Non tanto il risultato finale, per il quale si dovrà quasi sicuramente attendere alcune ore o forse più, ma le indicazioni degli exit poll sulla capacità di Trump di catturare voti maschili neri nelle città (in particolare ad Atlanta) o in quella di Harris di replicare il modello mid-term 2018 e di andare meglio del previsto nelle aree suburbane/exurbane, soprattutto tra l’elettorato femminile bianco.
Indicazioni utili
Alle 2 di mattina chiuderanno invece i seggi in una ventina di altri Stati, tra i quali la cruciale Pennsylvania e molte contee del Michigan. Vale il discorso fatto sopra: è improbabile (non impossibile) che la Pennsylvania venga «chiamata» subito, ma dentro le pieghe del voto si potranno avere delle indicazioni utili, soprattutto in Stati che possano dare dei segnali significativi e di cui, nel 2016 e il 2020, si ebbero quasi subito i risultati: il Kansas repubblicano (che Trump vinse di 15 punti quattro anni fa, ma che ha oggi una governatrice democratica – Laura Kelly – relativamente popolare e dove nell’agosto del 2022 si votò il primo referendum sull’aborto dopo la fine di Roe v. Wade, vinto largamente dal fronte pro-choice), il New Hampshire democratico (lo Stato nel Nordest dove i repubblicani sono decisamente più forti), il Maine, che potrebbe darci un’indicazione su quanto Harris sia in grado di limitare i danni nelle contee rurali, e – soprattutto – la Florida, a lungo epitome dello swing state, diventata negli ultimi anni solidamente repubblicana (da osservare in particolare la contea di Miami-Dade per tutto quello che essa rappresenta, anche in termini di equilibri demografici).
La cruciale Pennsylvania
La Pennsylvania è la posta più ambita – lo swing state con il più alto numero di grandi elettori, 19 (ma erano 35 ancora alla fine degli anni quaranta). Tutto lascia presagire che il conteggio andrà per le lunghe e che i primi dati – provenienti da contee rurali – vedranno in vantaggio Trump. Come sopra, sarà utile fare comparazioni con le ultime due tornate e vedere se e quanto Harris regge rispetto a Biden 2020. Qui c’è però il rischio fortissimo – io credo la quasi certezza – che l’ex Presidente si proclami vincitore a spoglio ancora in corso e risultati incerti, con tutti i pericoli che ne conseguono se lo scrutinio dovesse dare un esito differente.
Dalle 3 del mattino in poi
Un’altra infornata l’avremmo alle 3 del mattino, con una prima e decisiva serie di Stati dell’ovest e del sudovest, tra i quali gli swing states dell’Arizona e del Nevada. Vi sarà anche l’Iowa che in un recente, e sorprendente, sondaggio, vedrebbe Harris avanti. Faccio fatica a credervi (se fosse realistico Harris dovrebbe vincere facilmente, in contrasto con quasi tutti gli altri sondaggi), ma un dato finale dell’Iowa prima di quelli del Midwest fornirebbe indicazioni utili, soprattutto sulla effettiva capacità di Harris di conquistare voti di donne non giovani e moderate/conservatrici come da sua strategia elettorale.
Camera e Senato
In parallelo vi sono molte altre competizioni elettorali: 34 seggi del Senato (su 100), tutta la Camera (435), gran parte dei Congressi statali (85 camere su 99), pochi governatorati, questo giro, rispetto ai quali non vi sono invece incertezze (l’unica poteva essere la North Carolina, ma dal cilindro delle primarie repubblicane è uscito l’impresentabile Mark Robinson consegnando la vittoria ai democratici).
Al Senato la mappa elettorale avvantaggia chiaramente i repubblicani, che devono difendere appena 11 seggi, contro i 19 democratici (che sono in realtà 23, in quanto i quattro indipendenti contribuiscono alla maggioranza dem). Maggioranza risicatissima – 51 a 49 – e anzi già venuta meno, visto il ritiro in West Virginia del democratico Joe Manchin e la vittoria certa del candidato repubblicano. Anche qui, la radicalizzazione del partito repubblicano ha portato alla vittoria nelle primarie di candidati estremi e quindi deboli, come l’ex giornalista televisiva Kari Lake in Arizona.
Candidati democratici forti potrebbero addirittura aver rimesso in gioco seggi che sembravano persi, come quello del Nebraska. Molto dipenderà dal traino del voto presidenziale e, anche, dal suo esito, che il futuro vicepresidente, Presidente del Senato, potrebbe essere l’ago della bilancia come fu Kamala Harris tra il 2021 e il 2023. Le possibilità che i repubblicani riprendano la Camera alta sono però molto elevate, anche perché Ohio e ancor più Montana – che esprimono senatori dem – si sono spostati molto a destra (meno credibile, rispetto a qualche settimana fa, è la possibilità che l’ex governatore repubblicano anti-Trump del Maryland, Larry Hogan, possa vincere in uno Stato solidamente democratico).
Alla Camera rivivremo presumibilmente la situazione degli ultimi due cicli elettorali, 2020 e 2022, con maggioranze assai risicatissime che si giocano su pochi collegi decisivi, alcuni dei quali in Stati solidamente schierati da una parte come dall’altra: collegi rurali o suburbani dello Stato di New York (oltre al solito, 11° distretto di Staten Island …), aree suburbane californiane, a sud/sud-ovest di LA, distretti urbani in Texas, e altro. Sono non più di 30/40 (su 435) i distretti davvero competitivi, ed è probabile appunto che la futura maggioranza sia alquanto esile, come lo è stata negli ultimi anni (soprattutto i repubblicani hanno poi fatto molta fatica a preservare l’unità al momento del voto, alimentando l’estrema disfunzionalità del processo legislativo).
S
ette stati decisiviPer ricapitolare, si gioca tutto in pochi Stati decisivi, 7 su 50 (se non crediamo all’ultimo sondaggio sull’Iowa). Harris partirebbe da 226 grandi elettori certi; Trump da 219. La maggioranza è 270 e i 7 swing states ne mettono in palio 93. Vi sono una serie di combinazioni possibili per l’una e per l’altro. Harris deve assolutamente vincere il Midwest, anche se può in teoria bilanciare una sconfitta in Michigan o Wisconsin con la North Carolina o la Georgia, e la Pennsylvania con una combinazione di uno di questi due Stati e il Nevada.
Trump pare avere più strade percorribili. Tra le tante combinazioni vi sono anche un pareggio (269 a 269) o una vittoria di misura di Harris, 270 a 268. La prima è altamente improbabile: Harris dovrebbe vincere in Arizona, Georgia e North Carolina, Trump conquistare tutto il Midwest e il Nevada. La seconda è invece tutt’altro che irrealistica: Trump vince il sud e il sud-ovest, ma perde tutto il Midwest e il collegio Nebraska-2 (il Nebraska assieme al Maine è l’unico Stato che non applica la formula del vincitore piglia-tutto, due GE sono assegnati a chi vince lo Stato e tre a chi prevale nei collegi della Camera; Nebraska-2, dove sta la più grande città dello Stato, Omaha, è solidamente democratico).
Possibili scenari
In caso di pareggio, la scelta passerebbe al Congresso: la Camera sceglierebbe il Presidente, con un voto però non individuale ma per delegazione statale (26 voti su 50, la maggioranza sarebbe quasi certamente repubblicana, ora come ora vi sono 26 delegazioni a maggioranza repubblicana, 22 democratica, e 2 pareggi, Minnesota e North Carolina). Il vicepresidente sarebbe invece scelto dal Senato, con il voto individuale. Se invece dovesse vincere di misura Harris 270 a 268, magari per poche migliaia di voti in Wisconsin o in Michigan, ci saranno (legittime) richieste di riconteggio, azioni legali e, quasi inevitabilmente, proteste che potrebbero avere derive violente. Bisognerà, in quel caso, davvero allacciarsi le cinture e, per chi ha la fede, affidarsi al proprio Dio.
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