Budapest dice sì alla Svezia nella Nato: così finisce l’era dei Paesi neutrali
Neutralità addio. Per quella ora ci si dovrà rivolgere solo alla Svizzera. Dopo oltre 18 mesi dalla richiesta di adesione alla Nato anche per la Svezia cade l’ultimo ostacolo. Ieri il Parlamento ungherese che è saldamente in pugno a Fidesz, il partito di Viktor Orban, ha dato il via libera all’ingresso di Stoccolma nell’organizzazione di sicurezza collettiva.
Ricatti e sospetti
La Svezia per diventare il trentaduesimo membro del Trattato del Nord Atlantico ha dovuto affrontare un vero e proprio tour de force, messo in campo da due leader che dallo scoppio della guerra in Ucraina hanno mantenuto una posizione equidistante tra Mosca e Kiev: Erdogan e proprio Orban. La Turchia ha sollevato dubbi (poi caduti) sull’ospitalità fornita dagli svedesi ad alcuni dissidenti curdi: il via liberà è arrivato nel momento in cui gli Usa hanno sbloccato la vendita degli F-16 ad Ankara. La questione ungherese è stata più complessa: Orban è considerato un quasi-alleato di Putin. Ma i motivi ufficiali per cui Budapest bloccava l’ingresso di Stoccolma era ufficialmente per il fatto che il governo svedese bloccava i fondi europei per l’infrazione legata all’erosione dello Stato di diritto. Ma negli ultimi mesi la pressione del segretario Nato, Jens Stoltenberg, e del presidente americano Joe Biden, hanno messo all’angolo Orban. Nonostante questo il primo ministro Ulf Kristersson è dovuto volare la settimana scorsa a Budapest, mettendo da parte il proprio orgoglio e accontentando la richiesta di Orban per colloqui bilaterali. L’opinione pubblica svedese è in maggioranza a favore dell’adesione alla Nato, ma a molti non è piaciuto come il primo ministro abbia dovuto cedere all’ego di Orban.
Neutralità addio
Con la guerra in Ucraina a differenza dei calcoli fatti da Mosca, il fronte europeo si è irrigidito e le posizioni si sono radicalizzate soprattutto in tema di sicurezza. Così nell’arco di pochi mesi Finlandia e Svezia hanno presentato la loro richiesta di adesione alla Nato, ed in particolare per lo Stato svedese si mette fine ad una storia di neutralità durata quasi 200 anni. Ma se i due Stati del Nord Europa sono il simbolo più evidente di un cambio di passo nel Vecchio continente, anche altri Paesi hanno modificato la loro postura internazionale. L’Irlanda neutrale da 80 anni sta cambiando il proprio approccio: il governo ha promosso un dibattito interno da cui è emersa la volontà di una partnership più stretta con Nato e con la Politica europea di difesa e di sicurezza comune. Ci sono poi i casi di Austria e Svizzera, la prima ha la neutralità scritta in Costituzione, la seconda si dichiara neutrale dal 1516 (anche se formalmente lo è dal Congresso di Vienna). Il governo austriaco ha condannato l’invasione, implementato le sanzioni dell’Unione europea e consentito il trasporto di armi attraverso il suo territorio, ma si è astenuto dal fornire armi o addestrare componenti dell’esercito ucraino. In ogni caso il rapporto con le strutture di difesa comune europee si è fatto più stretto. Anche la Svizzera per la prima volta ha applicato sanzioni ai danni della Russia e sta rivedendo la propria politica di sicurezza alla luce della mutata situazione geopolitica.
Negoziati
Si tratta di uno scenario preoccupante perché gli spazi di mediazione si riducono. Essere neutrali non è solo una linea di condotta di uno Stato nella sua politica estera, ha un effetto anche sull’esterno: offre luoghi indipendenti dove belligeranti si possono sedere al tavolo per negoziare una pace. Basta pensare agli incontri di Helsinki tra Trump e Putin, ma soprattutto nel 1973, in piena Guerra Fredda, alla prima Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa a cui parteciparono rappresentanti di Unione Sovietica e Stati Uniti, un primo passo di distensione che pose le basi per la nascita negli anni successivi dell’Osce. Per la Finlandia e la Svezia l’ingresso nella Nato è un momento storico, ma rende il mondo paradossalmente più insicuro con meno zone di compensazione.
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