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Sull'altopiano della Meseta fra arte, spiritualità e movida

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Caldo e secco. Sterminato. Irresistibile. Non un posto per turisti, piuttosto una terra per viaggiatori, per chi ama vivere il percorso, berlo sorso per sorso, piuttosto che attendere la meta. E, soprattutto, un posto per chi non teme l'afa avvolgente del sole che cuoce terra, animali e uomini.
È l'altopiano della Meseta, un pezzo di Spagna che profuma di Medioevo, coccolato fra lo splendore aristocratico di Madrid e il verde lussureggiante delle coste cantabriche e asturiane. È la Meseta dei pellegrini del Camino di Santiago, che da qui passarono e continuano a passare, guidati da una mappa dell'anima, che li condusse e continua a condurli per mano, fino alla destinazione, attraverso lande secche e sconfinate, a volte inquietanti. «Es la Meseta y nada màs», è la Meseta e nient'altro, dicono gli indigeni, i meseteros, gente concreta e di poche parole, abituata a fare i conti con un suolo assetato e inospitale, che allo stesso tempo attira e respinge.
La doppia anima di Leòn
È la Meseta dei piccoli villaggi che sembrano sfidare la natura, ma è pure la Meseta della grande e antica città di Leòn (a 527 metri d'altezza), un autentico forziere di gioielli architettonici, tappa obbligata lungo il Camino. Posto strano, affascinante, per certi versi contraddittorio. Durante il giorno estremamente tradizionale e spirituale (soprattutto nei quartieri più vicini alla straordinaria cattedrale, una delle più belle di tutta la Spagna), di notte molto cool, giovane e moderna, vivacissima. Merito (o colpa, dipende dai punti di vista) della folla di studenti che al calar delle tenebre prendono possesso del centro storico (si chiama barrio hùmedo), fatto di viuzze strette e verticali che sembrano fatte apposta per perdersi.
In plaza de San Marcelo, accanto alla sede dell'Ayuntamiento (il municipio), c'è da vedere la Casa de Botines (1893), un palazzo neogotico simile a un castello, frutto del genio di Antoni Gaudì. Ma il vero diamante di Leòn è la già citata cattedrale, cuore e simbolo della radicatissima tradizione cattolica della città. Costruita nel XIII secolo, è un capolavoro dello stile gotico maturo. È detta Pulchra Leonina per la sua bellezza e purezza di stile. Bella fuori, straordinaria dentro: imperdibili le vidrieras, le 128 vetrate policrome realizzate fra il XIII e il XVI secolo, che creano un gioco di luci e colori d'una bellezza sconvolgente.
Burgos e la leggenda del Cid
Duecento chilometri più a est, ecco Burgos (861 metri d'altezza), la città del Cid, uno delle figure storiche di riferimento della storia spagnola. Il suo nome vero era Rodrigo Díaz conte di Bivar (o di Vivar), era un nobile castigliano e visse fra il 1043 e il 1099. Ebbe una vita lunga (per il tempo) e avventurosa, e fu tra i protagonisti della Reconquista della Spagna da parte dei cristiani. O almeno questo è ciò che narra la tradizione. Secondo altri el Cid fu semplicemente un mercenario al servizio del potente di turno, indipendentemente dalla fede di quest'ultimo.
Che ci azzecca El Cid con Burgos? Dal 1921 pare che i suoi resti, insieme a quelli della moglie Jimena, siano conservati nella cattedrale della città. Che è senza dubbio il fiore all'occhiello di Burgos, tant'è che è stata dichiarata dall'Unesco patrimonio mondiale dell'umanità. I lavori di costruzione iniziarono nel 1221 e terminarono quarant'anni più tardi: in stile gotico francese, è dotata di due magnifiche torri gemelle alte 84 metri. Ma Burgos non è solo la sua cattedrale: da vedere anche il lungofiume del Rio Arlanzòn, con i suoi pasèos lunghi e ombreggiati, ideali per chi vuole sperimentare una tradizione spagnola che qui sembra ancor ben radicata: la siesta.

Carlos Passerini
 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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