«Basta a chi assale la montagna come fosse un centro commerciale»

Ruggero Bontempi
L’intervista a Claudio Inselvini, alpinista bresciano del Club Alpino Accademico, che sabato 16 novembre modererà il Convegno nazionale del Cai
L'alpinista bresciano Claudio Inselvini - © www.giornaledibrescia.it
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Sabato 16 novembre l’abbazia di Maguzzano (Lonato del Garda) ospiterà i lavori del Convegno nazionale del Club Alpino Accademico Italiano, che saranno dedicati alla conservazione del patrimonio alpinistico nel rispetto dell’avventura e dell’esperienza vissuta. Il momento di confronto tra relatori sarà coordinato dall’alpinista bresciano Claudio Inselvini, attuale presidente del Gruppo Centrale del CAAI. A lui toccherà moderare le diverse esperienze che saranno esposte su un tema generale che, nelle sue implicazioni ambientali e sociali, va oltre i risvolti strettamente alpinistici.

In preparazione all’appuntamento, abbiamo rivolto al presidente alcune domande sui contenuti del convegno e sulla situazione generale delle nostre montagne.

Inselvini, dal suo punto di vista privilegiato qual è lo stato attuale di salute della montagna, e quali le criticità che preoccupano gli alpinisti?

Potremmo o forse dovremmo differenziare lo stato di salute della montagna da quello dei suoi frequentatori. Se per la montagna lo stato di salute è di allarme, e i campanelli sono lo scioglimento dei ghiacciai, le scarse precipitazioni nevose, la sempre maggiore cementificazione e l’inquinamento, lo stato di salute dei suoi frequentatori è di malattia in stadio avanzato. Si vogliono le comodità della città, si va in montagna senza rispetto per l’ambiente, assalito come un centro commerciale a cielo aperto.

E qual è la situazione per gli alpinisti?

Per ciò che riguarda gli alpinisti è anche più difficile definire una linea, dato che a questa figura classicamente intesa si sostituiscono oggi molte sottofigure specialistiche. In teoria tutti sono preoccupati dagli effetti dei cambiamenti climatici in montagna. A risentirne maggiormente è chi pratica un alpinismo classico, trovandosi di fronte a pareti cambiate e rischi aumentati dal progressivo aumento delle temperature, che causa la riduzione della neve e del ghiaccio e lo scioglimento del permafrost.

Le montagne sono osservate speciali
Le montagne sono osservate speciali

Il titolo del convegno vuole richiamare gli alpinisti verso nuove responsabilità?

L’obiettivo primario è inquadrare il problema da vari punti di vista: di chi scala per diletto, delle guide alpine e dei soccorritori. Intendiamo stimolare un dibattito puntuale, per giungere in futuro ad un pensiero condiviso nella comunità degli scalatori per la gestione del patrimonio alpinistico.

Nel corso del convegno verrà dato spazio, a cura dell’alpinista bresciano Matteo Rivadossi, a un’iniziativa che interessa una valle del Parco dell’Adamello. Di cosa si tratta?

Matteo Rivadossi si è fatto portavoce di un interessante progetto che si propone di stimolare la comunità alpinistica a mantenere la Val Salarno come un luogo in cui la scalata rispetti ancora i parametri di avventura e di etica che hanno caratterizzato l’epoca iniziale della sua frequentazione. Si propongono interventi di «manutenzione» che non vadano a variare quanto già in essere, ma semplicemente a rimpiazzare l’attrezzatura in loco con altra uguale ma nuova. L’idea non è quella di vietare, o tantomeno limitare la creatività dei singoli, ma invitare a mantenere questa zona di scalata all’interno dello stile che la caratterizza. Una sorta di salvaguardia dell’anima del luogo.

Il patrimonio alpinistico si compone di un insieme di esperienze, fattori storici, ambientali e culturali. Questa consapevolezza è matura anche nelle nuove generazioni di scalatori?

Secondo me non ancora. Solo in alcuni è presente e chiara, in altri è totalmente assente, mentre in altri ancora, per fortuna, si sta facendo strada. E questa responsabilità è in carico soprattutto alla generazione attuale, che troppo poco ha fatto per stimolare una coscienza nuova e per seminare consapevolezza e rispetto. Ma forse, peccando di ottimismo, mi pare di cogliere una sorta di risveglio, sia pure ancora in forma embrionale, in un numero sempre maggiore di giovani. E ancora una volta tocca a noi scalatori della generazione matura innaffiare quel seme.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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