L’ineffabile mistero della spedizione sull’Everest
La montagna racchiude in sé una serie di prospettive che si delineano come mistero, piacevolezza, sogno, bellezza, desiderio. In questi giorni l’aspetto del mistero si ripropone a pieno titolo in riferimento al centenario di una tappa importante della storia dell’alpinismo mondiale, e in particolare di quello che si pratica ad altissima quota.
I protagonisti
All’alba del’8 giugno 1924 due giovani alpinisti britannici, George Leigh Mallory e Andrew Comyn Irvine, lasciarono la loro piccola tenda per avviare il tentativo di diventare i primi uomini a salire l’Everest, la vetta più alta del pianeta. Insegnante il primo e studente di ingegneria il secondo, i due erano membri di una spedizione organizzata dalla Royal Geographical Society, la terza che fu avviata dal 1920 per esplorare la grande montagna, studiare le sue caratteristiche geologiche e tentare di raggiungerne la cima.
Mentre Mallory era considerato il più forte scalatore della sua epoca, colto e carismatico, Irvine aveva maturato una scarsa esperienza alpinistica, ma si prestò diligentemente agli ordini del capo spedizione, Edward Norton, mettendo a disposizione di tutti i membri le sue grandi abilità meccaniche.
Il mistero
L’uscita dalla tenda dei componenti di questa storica cordata li portò ad affrontare sulla cresta nord-est un terreno del tutto sconosciuto, tuttavia la loro progressione, osservata dal geologo Noel Odell, fu giudicata avanzare in modo deciso. Poco dopo le ore 12 e 50, quando avvenne l’ultimo avvistamento a poco più di duecento metri dalla vetta, le nubi avvolsero la cresta, e le figure dei due scalatori scomparvero dalla vista per entrare in un alone di leggenda e mistero.
Negli anni successivi, e fino ai giorni nostri, sono state sviluppate una serie di ipotesi, prove e controprove che in parte avvalorano la possibilità che la vetta sia stata raggiunta, e in parte sostengono il contrario.
Nel 1999 fu rinvenuto il corpo perfettamente conservato di Mallory, ma nessun indizio fu di utilità per risolvere il mistero, mentre i resti di Irvine sono tuttora dispersi, assieme alla macchina fotografica che, se ritrovata, potrebbe forse fornire qualche risposta.
In un’intervista rilasciata a un giornalista americano nel 1923 Mallory, interpellato in merito alle motivazioni del suo grande desiderio di salire l’Everest, rispose semplicemente «perché è là», e questa è una motivazione che fa muovere ancora oggi escursionisti e scalatori su tutte le montagne del mondo.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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