Outdoor

L’ineffabile mistero della spedizione sull’Everest

Ruggero Bontempi
A distanza di un secolo non si hanno ancora prove certe o smentite che la cima più alta del mondo sia stata raggiunta da due alpinisti britannici
I membri della spedizione del 1924: da sinistra, Andrew Irvine e George Mallory
I membri della spedizione del 1924: da sinistra, Andrew Irvine e George Mallory
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La montagna racchiude in sé una serie di prospettive che si delineano come mistero, piacevolezza, sogno, bellezza, desiderio. In questi giorni l’aspetto del mistero si ripropone a pieno titolo in riferimento al centenario di una tappa importante della storia dell’alpinismo mondiale, e in particolare di quello che si pratica ad altissima quota.

I protagonisti

All’alba del’8 giugno 1924 due giovani alpinisti britannici, George Leigh Mallory e Andrew Comyn Irvine, lasciarono la loro piccola tenda per avviare il tentativo di diventare i primi uomini a salire l’Everest, la vetta più alta del pianeta. Insegnante il primo e studente di ingegneria il secondo, i due erano membri di una spedizione organizzata dalla Royal Geographical Society, la terza che fu avviata dal 1920 per esplorare la grande montagna, studiare le sue caratteristiche geologiche e tentare di raggiungerne la cima.

Mentre Mallory era considerato il più forte scalatore della sua epoca, colto e carismatico, Irvine aveva maturato una scarsa esperienza alpinistica, ma si prestò diligentemente agli ordini del capo spedizione, Edward Norton, mettendo a disposizione di tutti i membri le sue grandi abilità meccaniche.

Il mistero

L’uscita dalla tenda dei componenti di questa storica cordata li portò ad affrontare sulla cresta nord-est un terreno del tutto sconosciuto, tuttavia la loro progressione, osservata dal geologo Noel Odell, fu giudicata avanzare in modo deciso. Poco dopo le ore 12 e 50, quando avvenne l’ultimo avvistamento a poco più di duecento metri dalla vetta, le nubi avvolsero la cresta, e le figure dei due scalatori scomparvero dalla vista per entrare in un alone di leggenda e mistero.

Negli anni successivi, e fino ai giorni nostri, sono state sviluppate una serie di ipotesi, prove e controprove che in parte avvalorano la possibilità che la vetta sia stata raggiunta, e in parte sostengono il contrario.

Nel 1999 fu rinvenuto il corpo perfettamente conservato di Mallory, ma nessun indizio fu di utilità per risolvere il mistero, mentre i resti di Irvine sono tuttora dispersi, assieme alla macchina fotografica che, se ritrovata, potrebbe forse fornire qualche risposta.

In un’intervista rilasciata a un giornalista americano nel 1923 Mallory, interpellato in merito alle motivazioni del suo grande desiderio di salire l’Everest, rispose semplicemente «perché è là», e questa è una motivazione che fa muovere ancora oggi escursionisti e scalatori su tutte le montagne del mondo.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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