Outdoor

Sono passati 60 anni dall’impresa di Bonatti sul Cervino

Ruggero Bontempi
L’anniversario di una delle scalate più importanti in solitaria, che ha fatto le storie dell’alpinismo
L’alpinista Walter Bonatti arrivò da solo sul Cervino
L’alpinista Walter Bonatti arrivò da solo sul Cervino
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In questi giorni di sessant’anni fa, tra il 19 e il 23 febbraio del 1965, si stava scrivendo sul Cervino una delle imprese più importanti e destinate a rimanere per sempre nella storia dell’alpinismo.

Walter Bonatti stava tracciando in solitaria, nella stagione invernale, una nuova via sulla severa parete nord della montagna simbolo di maestosità posta sul confine tra la Valle d’Aosta e il cantone svizzero del Vallese, salita per la prima volta proprio cento anni prima, nel 1865, da Edward Whymper.

L’alpinista bergamasco nato nel 1930 e scomparso nel 2011 si trovava in quel periodo in un particolare stato di grazia, e decise di affrontare la parete una prima volta attorno alla metà di febbraio del 1965 con una cordata composta da tre membri, ma la salita fu interrotta dal maltempo.

Non fu per caso che Bonatti scelse per quella scalata l’anno del centenario: la montagna era al centro delle attenzioni mediatiche, uno spirito di competizione aleggiava tra gli alpinisti migliori, e la riuscita o il fallimento del suo tentativo avrebbero sicuramente creato notevole scalpore. La seconda opzione tuttavia non era contemplata. Con i compagni impossibilitati a partire per un secondo tentativo Bonatti decise per questo di affrontare da solo la linea individuata, trasformando la rabbia nell’energia di un’azione che ai più parve folle, ma che lui giudicò come «la cosa più logica del mondo».

L’amico fotografo Mauro De Biasi lo accompagnò per un tratto e fu l’ultimo ad abbandonarlo. Si mantenne tuttavia in contatto con lui mediante segnali luminosi emessi da una potente torcia in orari prestabiliti, ai quali Bonatti dava risposta con la sua piccola lampada frontale.

Dopo il primo bivacco insonne sul ghiacciaio ne seguirono altri tre in parete, l’ultimo dei quali a trenta gradi sotto zero. Nel corso di tutti quei giorni diversi aerei volarono attorno al Cervino per seguire l’eroe solitario fino all’arrivo alla croce di vetta. Di queste rumorose incursioni nel suo libro «Montagne di una vita» Bonatti scrisse: «Forse per discrezione si allontanano un po’, lasciandomi percorrere gli ultimi metri in silenzio. Come ipnotizzato stendo le braccia a quella croce fino a stringerla al petto».

Fu un momento irripetibile e solenne nella storia dell’alpinismo, con il quale Bonatti chiuse la sua carriera di scalatore per dedicarsi ai grandi viaggi di avventura. Un momento che ancora oggi è simbolo di emozione, ardimento, passione, vita.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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