Opinioni

Solo un sistema Brescia «aperto» è competitivo

Giuliano Noci
Strategie e progetti oltre i confini territoriali per non diventare marginali
Una veduta panoramica di Brescia © www.giornaledibrescia.it
Una veduta panoramica di Brescia © www.giornaledibrescia.it
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Mai come in questo momento storico, in cui si sovrappongono sfide a tutti i livelli (tecnologico, geopolitico, ambientale, socio-valoriale), Brescia, così come altre realtà territoriali italiane, deve interrogarsi sul proprio futuro. Questo quotidiano ha posto il tema del sistema Brescia, traendo spunto dalla decisione dalla decisione della Banca d’Italia di chiudere la sua filiale. Mi permetto di contribuire al dibattito evidenziando tre ambiti di riflessione che più di altri mi paiono rilevanti.

Il primo fa riferimento al sistema: è ancora corretto pensare e pianificare azioni volte a sostenere la competitività del tessuto socio-tecnico avendo come ambito territoriale target il confine amministrativo bresciano? Temo di no. Per due motivi. Uno riguarda la scalabilità: abbiamo bisogno di fare investimenti importanti e la scala locale non è più sufficiente. Inoltre, non si può più prescindere da un criterio di omogeneità di opportunità e minacce: la Bassa Bresciana è, da questo punto di vista, più vicina al Mantovano che alle tre valli bresciane; queste ultime sono più simili alle valli bergamasche che alla pianura della Bassa.

Un secondo ambito riguarda l’organizzazione di programmi e processi volti a facilitare dinamiche di innovazione. Brescia ha bisogno di un sistema di trasferimento tecnologico in grado di sostenere le numerose Pmi del territorio che, per scala e conoscenze, non possono rivolgersi al sistema universitario. In questa prospettiva, è a mio avviso importante non cadere nella tentazione di pensare genericamente a forme di sostegno all’innovazione. Meglio partire dall’eccellenza (tecnologica) che il territorio e il suo sistema universitario hanno saputo sviluppare nel tempo e su questo concentrarsi per realizzare centri di eccellenza fortemente focalizzati al servizio non solo del territorio bresciano ma di (ampie) aree omogenee che condividono opportunità e minacce. Questa prospettiva richiede evidentemente che Brescia faccia rete con altri territori dell’area omogenea. Per veicolare la propria eccellenza e nel contempo rendersi disponibile ad accogliere l’eccellenza di altri centri.

Il terzo e ultimo fa riferimento a come è concepito il modo di fare impresa. Il nostro sistema industriale si è sempre caratterizzato per una cultura di eccellenza tecnica di prodotto e produzione: è un tratto identitario che ha visto Brescia come punta di eccellenza del Made in Italy. Purtroppo, non è più sufficiente per affrontare le sfide di contesto. La produzione non ci permette più di fare la differenza: diventa condizione necessaria per la competitività di impresa a cui si devono aggiungere due nuovi «processi produttivi» ugualmente importanti: quello di gestione dei big data (anche via Ia) e quello di trasformazione delle attività di marketing in una esperienza attrattiva da veicolare al mercato.

Nel complesso la sfida trova sintesi in tre concetti. In primis, vi è urgenza di cambiare (la crisi dell’automotive è lì da vedere) e il cambiamento richiede nuove pratiche. Inoltre è opportuno evitare di puntare alla realizzazione di un generico sistema a sostegno dell’innovazione. Meglio, socraticamente, guardarsi dentro e individuare – partendo dalle università bresciane – le eccellenze di ricerca su cui concentrare energie e capitali e, nel contempo, fare rete con altri. In altre parole, Brescia riparte con slancio solo se concepisce strategie e progetti che vanno oltre i propri ambiti territoriali. Siamo del resto nella società della conoscenza e delle connessioni; ne dobbiamo prendere atto, altrimenti il campanello d’allarme della chiusura della sede di Banca d’Italia sarà stato invano e tutti ne pagheremo le conseguenze.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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