Piano di riarmo Ue, l’Italia rischia di essere marginale

Nel voto di ieri all’Europarlamento non siamo stati capaci di rappresentare posizioni nette e unitarie: maggioranza e opposizione sono divise al loro interno
Il Parlamento europeo a Strasburgo - Foto Epa/Ronald Wittek © www.giornaledibrescia.it
Il Parlamento europeo a Strasburgo - Foto Epa/Ronald Wittek © www.giornaledibrescia.it
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Ciò che si può dire, dal nostro punto di vista di italiani, del voto di ieri all’Europarlamento sul piano di riarmo Ue, è che non siamo stati capaci di rappresentare posizioni nette e unitarie, ancorché distinte tra maggioranza e opposizione. E questo per la ragione che sia la maggioranza che l’opposizione si sono divise al loro interno, e per di più il maggior partito dell’opposizione si è spaccato in due in completo isolamento rispetto alla posizione del Partito socialista europeo cui il Pd aderisce.

Se ci rendiamo conto dell’importanza vitale e della portata storica della posta in gioco, e cioè la difesa della democrazia continentale di fronte al pericolo costituito dalla prepotenza russa e all’annunciato disimpegno americano in funzione polemica proprio con il suo storico alleato europeo, capiamo che il disordine delle posizioni italiane non è quanto di meglio ci potessimo augurare. Ma è successo e purtroppo non costituisce di per sé una novità per chi segua le contorsioni del nostro sistema partitico.

A favore della risoluzione von der Leyen, chiamiamola così, si è schierata convintamente Forza Italia, aderendo in pieno alla linea del Ppe; ha dato il suo sì Fratelli d’Italia ma astenendosi nell’atto che dava «incrollabile sostegno» all’Ucraina («parole troppo polemiche con Trump»), e si è decisamente schierata contro la Lega di Salvini e Vannacci non considerando che il segretario del partito è anche vicepresidente del Consiglio e quindi dovrebbe partecipare ad una linea politica comune e non schierarsi così rumorosamente contro di essa, con il risultato di rendere ambigua la posizione governativa italiana.

Altrettanto può dirsi dell’opposizione che non è in grado di esprimere una linea comune ma si divide tra gli oppositori più decisi al piano ReArmEu, e cioè i grillini e Avs che possiamo ormai definire come l’ala di sinistra radicale dello schieramento italiano, e un Pd che non sa decidersi tra una posizione riformista-europeista e un’altra, rappresentata dalla segretaria e la sua maggioranza, tentata da un «no» al riarmo ma rannicchiata in un’astensione che non ha alcun vero significato politico se non quello della fuga. Dieci parlamentari europei del Pd hanno detto sì alla risoluzione, 11 si sono astenuti, e solo con grande sforzo si è evitato che pacifisti come Marco Tarquinio e Cecilia Strada votassero no.

Dunque, la linea della segreteria ha corso seriamente il rischio di andare in minoranza. Una situazione che difficilmente potrà prolungarsi nel tempo. Ma la radice di tutto ciò sta, da una parte nella multiforme natura politica del Partito democratico (che data dalla sua nascita) dall’altra nella concorrenza costituita da Conte (e Fratoianni, perché no?) libero di galoppare nelle praterie del pacifismo di piazza. Diciamoci la verità. Un quadro di questo genere sta a significare la debolezza politica dell’Italia, la macchinosità dell’elaborazione della sua volontà e in definitiva, il rischio di una marginalità che in fondo la forza intrinseca del Paese non si meriterebbe.

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