Madri e lavoratrici: ma per noi manca il gioco di squadra
Se fosse un campionato di calcio, ci sembrerebbe intollerabile arrivare dopo la Francia, la Spagna, la Germania, staccati persino dal Belgio, l’Irlanda, l’Austria! Invece si tratta «solo» della qualità delle nostre vite, che l’European Life-Work Balance Index (di cui Il Sole 24 Ore ha recentemente scritto) misura attraverso l’osservazione di un mix di reddito, agevolazioni, orario di lavoro, e soprattutto attenzione ad eventi speciali della vita, come le malattie e la maternità.
Questi «eventi speciali» – che in realtà tanto speciali non sono, visto che il 73% dei dipendenti di un’azienda è in un modo o in altro un caregiver, ossia si prende cura di qualcuno nella propria vita, percentuale che arriverebbe facilmente al 100% se considerassimo coloro che attraversano a loro volta un momento in cui hanno bisogno di cure – sono utili cartine di tornasole per valutare quando la nostra società sia stata capace di aggiornarsi, seguendo la crescente complessità delle nostre vite sempre più lunghe, ricche e articolate: se agli inizi del ‘900 questioni puramente logistiche rendevano impossibile essere presenti al lavoro e altrove, oggi la tecnologia ha riscritto la geografia di questi confini, ma per ora sembra a esclusivo vantaggio del lavoro.
In questo, il «destino» delle madri lavoratrici non è solo evidente da più tempo del resto, ma riguarda la massa critica più grande di coloro che stanno pagando il prezzo di un campionato giocato male: le centravanti dell’equilibrio vita-lavoro sono oggi solo il 10% in più di dieci anni fa (oggi l’occupazione femminile arriva al 55%, rispetto al 50% del 2014) – e comunque ne mettiamo in campo appena una su due – ricevono assist ridotti dai loro compagni di gioco – che possono contare ancora solo su 10 giorni di congedo di paternità, e comunque lo usano solo in 6 su 10 (appena 4 in più rispetto a dieci anni fa).
Madri portabandiera
Le donne, anche se provano a compensare ritardando il gioco e avendo figli sempre più tardi (media di età per avere il primo figlio nel 2024 a 31,6 anni, era 30,7 anni nel 2014, l’Italia è nella top 10 dei Paesi con le madri più «anziane» del mondo) alla fine vengono comunque costantemente squalificate (-20% donne in posizioni manageriali tra il 2014 e il 2024). Più che centravanti, per il gioco solitario che fanno, le madri lavoratrici in Italia potrebbero essere considerate delle portabandiera, che mostrano al resto dell’Europa come in Italia sia possibile far passare gli anni parlando tanto di un tema senza in effetti cambiare le cose.
In dieci anni, posti negli asili nido, tra i temi più sbandierati quando si parla di «cosa manca» per portare in ufficio le madri, sono passati dal 22,5% al 28% – senza considerare la varianza tra nord e sud – che vuol dire che per più di 7 bambini su 10 il nostro Paese ancora oggi conta su nonni, amici o madri che stiano a casa con loro. La condivisione di coppia è poi l’elefante nella stanza: voci maschili scarsamente pervenute, e alle donne non resta nemmeno il tempo (o la speranza?) per andare in piazza a combattere per un congedo di paternità degno di questo nome, che sancisca l’ingresso dell’Italia familista nel vero 21° secolo, un secolo in cui sia donne che uomini lavorano e mettono su famiglia, insieme.
Quale equilibrio possiamo raggiungere, se sotto a tutto c’è ancora una persona sola? Se, anche quando si pensa a delle misure, si agisce nel perimetro sempre più stretto di quello che viene visto come un «problema», puntuale e circoscritto, ovvero la presenza di un figlio nella vita di una donna che ha, o vorrebbe avere, un lavoro? Ma l’equilibrio vita lavoro non è importante solo in determinati momenti della vita o per determinate categorie di persone.
Un recente rapporto del Censis sul senso del lavoro rivela infatti che l’89,2% dei lavoratori vorrebbe sentirsi più ascoltato, preso in considerazione, riconosciuto sul posto di lavoro per tutto ciò che è e che ha nella propria vita. Le madri portabandiera, che da decenni si affannano su un campo da gioco pensato senza di loro, sono dunque le prime testimoni del fatto che, quello del benessere, della produttività e della felicità, è un campionato che va giocato tutti i giorni e con tutti, e non solo ogni tanto e con alcuni.
Riccarda Zezza è fondatrice di Lifeed e autrice di Maam, Maternity as a Master e C(u)ore Business
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