Lo sguardo che cura e quello che trascura

Una madre non «guarda» semplicemente il figlio, ma lo «osserva» e mentre lo fa con occhi attenti gli permette di essere osservata
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«Mi bastava uno sguardo da piccolo per capire da mia madre se stavo facendo qualcosa di buono o di negativo». Una frase che ho sentito dire una quantità di volte. Ed era così! Non servivano tante parole, bastavano gli occhi per dare un consenso o contenere un comportamento non opportuno. Lo stare in silenzio non corrispondeva alla distanza, anzi nell’assenza di parole si cresceva perché c’erano gli occhi che aiutavano a far venire fuori le parti migliori oppure a frenarne l’esuberanza.

Era con lo sguardo che una madre diceva: ti guardo con attenzione e rispetto. Da quella posizione iniziava l’avventura della crescita, perché una madre non «guarda» semplicemente il figlio, ma lo «osserva» e mentre lo fa con occhi attenti gli permette di essere osservata. Una reciproca contemplazione guida la relazione e apre al desiderio di comunicare, come gesto non necessariamente verbale. Quello viene dopo, perché diceva Alfred Tomatis: «La madre è la voce! Il padre invece è il linguaggio».

All’inizio così c’è lo sguardo materno che può essere «vocale» fatto di suoni e vocalizzazioni reciproche, ma allo stesso tempo è contatto, presenza, interazione, corpo che vibra e si muove, da cui nasce la relazione.

Questo fa una madre già nei primi giorni di vita quando osserva il suo bambino e senza parole gli dice: ti incontro, ci conosciamo, ci ritroviamo e io so chi sei e chi sarai. Senza parole, per l’appunto, tranne quelle poche che servono e appena sussurrate proprio a confermare che non c’è bisogno di loro: basta il piccolo rumore delle vocali e lo sguardo per dire «ti voglio bene», «ci sei con me» e «io sono per te».

Nella relazione d’amore, infatti, agli amanti non servono le parole spesso superflue o ingombranti. Bastano gli occhi che si incontrano e avviano narrazioni infinite, quasi impossibili al solo verbale. Ma all’inizio di una vita, tutto quello che serve è lo stretto necessario utile a quell’inconsapevole empatia cui ci destinano i nostri neuroni specchio. E anche se poi tutto rimane e da grandi misuriamo gli affetti dalla vicinanza dello sguardo o dalla distanza, sono quegli incroci dello sguardo che definiscono la cura o misurano la trascuratezza. Con gli occhi, più che con le parole, conosciamo lo stato di una relazione.

Lo sapevano bene i pittori rinascimentali Da Lorenzetti a Raffaello le cui Madonne col bambino narravano la cura e la relazione, quella che fa dire «se ti guardo con amorevolezza tu sai che esisti nella mia mente».

Così se manca lo sguardo, oppure è lontano o distratto, sappiamo quanto poco sarà la cura e quanta la trascuratezza.

Di questi sguardi parlerà oggi alle 18 Giuliana Beghini Franchini, psicoterapeuta infantile al Festival della parola presso la Sala consiliare del Comune di Villanuova sul Clisi. Narrerà delle luci e delle ombre del materno e accompagnerà il suo discorso con le immagini di opere d’arte che dal Rinascimento ai giorni nostri dicono dello sguardo che cura e fa crescere e della sua assenza che trascura e abbandona. A introdurla ci sarà Nadia Vezzola già docente di storia dell’arte.

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