Le incognite sul negoziato per la pace in Ucraina

Dopo Zelensky, anche Putin ha parlato in occasione della conferenza stampa, interminabile e attentamente coreografata, di fine anno. Il leader russo ha ridimensionato la portata della sconfitta russa in Siria, minimizzato le difficoltà economiche del Paese (a partire dall’altissima inflazione), celebrato il risultato delle operazioni militari in Ucraina e di una presunta superiorità missilistica che renderebbe impotente qualsiasi sistema difensivo occidentale.
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— MFA Russia 🇷🇺 (@mfa_russia) December 19, 2024
Pur con mille ambiguità, ha però anch’egli aperto a possibili trattative sull’Ucraina e a un eventuale vertice con Donald Trump dopo l’insediamento di quest’ultimo alla Casa Bianca il prossimo 20 gennaio. Siamo davvero a un punto di svolta nel terribile conflitto che dura ormai quasi da tre anni? Qualsiasi risposta è prematura. Affinché si giunga a un effettivo negoziato, almeno tre condizioni si devono pienamente allineare.
La prima, banale, è che nessuna delle due parti abbia sia l’interesse sia la volontà a continuare la guerra ovvero che nessuna possa imporre all’altra una resa netta se non incondizionata. La seconda condizione è che abbiano individuato le concessioni che sono disposte a fare per raggiungere un qualche compromesso accettabile ad entrambe; la terza è che il più ampio contesto regionale e internazionale possa accogliere e gestire tale compromesso e che gli attori esterni indirettamente coinvolti nel conflitto (Usa su tutti) lo possano a loro volta approvare.
Today, during the meeting with the President of the European Commission, @vonderleyen, we discussed the priorities of the newly formed European Commission and Ukraine’s accession to the EU. We also addressed the use of frozen Russian assets to support Ukraine’s needs.
— Volodymyr Zelenskyy / Володимир Зеленський (@ZelenskyyUa) December 19, 2024
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In una certa misura, queste condizioni sembrano essere oggi allineate molto più che in passato. Dopo la fallita controffensiva lanciata l’anno scorso e con una guerra d’attrito che logora inevitabilmente il contendente più debole, Kiev pare avere progressivamente abbandonato l’idea di recuperare i territori occupati da Mosca, a partire dalla Crimea e dal Donbass. A dispetto di una tracotanza ostentata anche ieri, Putin non può non vedere le difficoltà di una Russia che – a volte si tende a dimenticarlo – questa guerra l’aveva iniziata con ben altri obiettivi e ambizioni rispetto a quelli per i quali oggi pare pronta a fermarsi: arrivare a Kiev, decapitare (figurativamente e non) il governo di Zelensky e riportare l’Ucraina nella sfera d’influenza russa.
Il contesto, infine. Contraddistinto (altra sconfitta russa) da un significativo rafforzamento strategico della Nato, con l’ingresso nell’Alleanza di due attori militarmente non irrilevanti come Svezia e Finlandia, e l’effettiva estensione a est della sua piena capacità operativa. Ma caratterizzato, questo contesto, anche dal parallelo affievolirsi negli Usa dell’ampio sostegno bipartisan alla politica di aiuti militari all’Ucraina e dalla crescente sollecitazione, soprattutto dell’elettorato repubblicano, a favorire una fine del conflitto. L’elezione di Trump costituisce un tassello indubbiamente importante in tal senso. Ma pure un’amministrazione Harris avrebbe dovuto fare i conti con questo cambiamento e con la quasi impossibilità di far approvare al Congresso altri onerosi stanziamenti.
Anche laddove l’allineamento di queste tre condizioni dovesse completarsi, numerose incognite rimangono sul tavolo, dall’entità delle concessioni territoriali dell’Ucraina al finanziamento della sua ricostruzione alle modalità e tempistica della rimozione delle sanzioni economiche imposte in questi quasi tre anni a Mosca. Più di tutto, è la natura della garanzia securitaria che sarà data all’Ucraina a rappresentare la variabile vera e decisiva.
Non potrà essere cosmetica e ambigua, visto quel che Kiev dovrà eventualmente concedere. Ciò vuol dire che al di là delle provocazioni trumpiane su una forza d’interposizione europea di centinaia di migliaia di soldati, questa garanzia può conseguire a un accordo bilaterale tra Stati Uniti e Ucraina, che con Trump appare però assai poco realistico, ovvero entro una cornice Nato con un processo accelerato d’inclusione dell’Ucraina nell’Alleanza. Ci vuole molta creatività a immaginare alternative che oggi non paiono davvero esistere. E anche questo ci indica quanto tortuosa sia la strada che porta alla fine del conflitto.
Mario Del Pero – Docente di Storia internazionale, Sciences Po Parigi
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