La vita pubblica e il bisogno di conflitto
Il Premio Nobel per la Pace, 2022, Irina Sherbakova in visita a Brescia, ha, pochi giorni fa, incitato con vigore gli europei a militarizzarsi e riarmarsi. Mark Rutte, Segretario Generale della Nato (apparato militaresco post bellico), afferma: «l’Ucraina ha bisogno di meno idee su come organizzare il processo di pace e più aiuti militari per far sì che quando decida di aprire i negoziati sia in una posizione di forza».
«Si vis pacem para bellum», il vetusto brocardo latino, risalente al V secolo aC (attribuito a tal Flavio Vegezio Renato, funzionario dell’imperatore Teodosio, autore dell’«Epitoma rei militaris» appunto e di un piccolo trattato di medicina veterinaria per la cura dei muli), ancor oggi funge da fondamento teorico al bellicismo ed al substrato culturale che propone la guerra come male necessario (alimentando il successo economico dei produttori di armi, ahinoi, sempre più sofisticate e definitive).
In realtà l’unico tangibile risultato a cui questo motto latino sembra aver portato è l’estinzione dei pacifisti, come la stessa Sherbakova ha dichiarato: «Sono stata pacifista per decenni, per me è stato molto difficile cambiare idea». La minaccia nucleare, la discesa in campo di un’ arma che reca la scritta: «dopo di me il silenzio», cose impensabili ai tempi di Teodosio, rendono necessaria ed urgente una nuova visione, qualcosa di alternativo al doversi armare «fino ai denti» per impedire o fermare le aggressioni altrui.
L’escalation dei conflitti nella nostra folle epoca non lascia spazio ad alcun obbiettivo sensato. Occorrerebbe una risposta nuova, rivoluzionaria e Miguel Benasayag, che la rivoluzione l’ha fatta e subita, in Argentina come guerrigliero, ha provato ad offrirla nel libro di cui consiglio, assolutamente, la lettura intitolato: L’Elogio del Conflitto (scritto con Angélique Del Rey.) Secondo l’autore all’origine dell’eterna presenza della guerra nel mondo, sta il fatto che nella nostra vita pubblica (e privata) l’idea di conflitto sia stata totalmente bandita.
«Forte della convinzione, del tutto ideologica, di essere il punto di arrivo del progresso umano, la democrazia ha rimosso il conflitto dalla propria agenda politica, formattandolo in modalità convenienti. Il rifiuto generalizzato della conflittualità del reale, attuato dalle nostre società porta, come ogni rimosso, ad un "agito" conflittuale ancora più violento e totalizzante. Le società contemporanee che negano e rimuovono il conflitto sono attraversate da un’immensa carica di violenza».
È l’idealismo della Pace, quindi, che ci ha resi intolleranti verso qualunque forma di opposizione, ciechi verso gli aspetti positivi, progressivi, di crescita sociale ed individuale che il «conflitto» racchiude (come ben sanno i mediatori e gli psicologi). Rifiutando il conflitto ci lasciamo invadere da un’illusione ideale di purezza, di assenza di ombra, di opacità nella relazione, con l’altro e con gli altri, che apre la porta e ci espone, ad un uso politico strumentale della guerra che sfocia nella patologizzazione di ogni contestazione, nella criminalizzazione di ogni divergenza e porta con sé l’effetto «stabilizzante», «tipico dell’ideologia totalitaria». «Desertum fecerunt et pacem appellaverunt» [«Hanno creato un deserto e l’hanno chiamato pace»] scriveva Tacito nell’Agricola. Forse parlava di noi.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato
@News in 5 minuti
A sera il riassunto della giornata: i fatti principali, le novità per restare aggiornati.