Israele e Hamas, un conflitto «intrattabile»

Il nazionalismo della Destra israeliana e quello antiebraico dell’organizzazione si alimentano vicendevolmente
Una sede dell'Onu a Jabalia colpita da Israele - Foto Epa © www.giornaledibrescia.it
Una sede dell'Onu a Jabalia colpita da Israele - Foto Epa © www.giornaledibrescia.it
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L’opposizione a Netanyahu e al suo governo, all’indomani della rottura della tregua raggiunta con Hamas, ha conosciuto un significativo sviluppo: non solo la denuncia delle minacce portate alla democrazia e all’indipendenza della magistratura, nonché la contrarietà al disegno di privilegiare i cittadini ebrei, di rafforzare l’influenza religiosa nella vita pubblica, non solo la mobilitazione per restituire alla libertà gli ostaggi prigionieri dell’organizzazione terroristica, ma pure manifestazioni di rifiuto della guerra.

Un indubbio salto di qualità a difesa dello stesso Israele, della sua dignità e rispettabilità, oltre che un antidoto a fronte del risorgente antisemitismo. In effetti Netanyahu, che in passato non ha contrastato Hamas allo scopo di dividere i palestinesi e per contrapporlo all’Olp più propensa ad accettare un possibile compromesso, ha ora nettamente disvelato il suo vero obiettivo: porre fine alla questione palestinese, ricorrendo anche a mezzi estremi, quali ripetute stragi che vedono soccombere civili in un numero esorbitante, attacchi terroristici senza alcun riguardo ai cosiddetti «danni collaterali».

Alla base l’assunto che non c’è differenza tra Hamas e la popolazione di Gaza. In sostanza l’ascrizione collettiva delle responsabilità del criminale attacco del 7 ottobre alla nazione palestinese, da considerare «popolo nemico», la cui distruzione viene considerata necessaria così come, in subordine, la sua deportazione. Come in effetti ha sostenuto in più di un’occasione un alto esponente dell’esercito israeliano, il generale Giora Eiland.

Dunque l’intera popolazione gazawi non solo colpevole di complicità, ma prolungamento diretto di un’organizzazione militare terroristica e pertanto da sottoporre ad un destino di morte collettiva, senza risparmiare neonati e bambini. Da qui attacchi indiscriminati, campi profughi colpiti da ordigni devastanti, ospedali e scuole ridotti in macerie, fame, sete, malattie come strumento di guerra.

E la giustificazione di tutto ciò, dei crimini commessi, attraverso l’attribuzione ai gruppi armati di Hamas di aver trasformato l’intero popolo palestinese in un immenso scudo umano: un abisso di disumanità che consente agli ultraortodossi di sostenere persino che è giusto uccidere i bambini palestinesi perché da adulti diventerebbero terroristi. A fronte dell’immane sproporzione che caratterizza la reazione di Israele in termini di vittime civili rispetto al devastante attacco subito da parte di Hamas, non c’è dubbio alcuno che si debba parlare di crimini di guerra e di crimini contro l’umanità.

Ma si può evocare anche il «crimine dei crimini» e cioè il genocidio, nella specifica accezione elaborata dal giurista ebreo polacco Raphael Lemkin nel 1944 e cioè un crimine connotato da denazionalizzazione, pulizia etnica e colonizzazione? Il dibattito in sede teorica è certamente aperto, se pure un recente saggio dovuto a Luigi Daniele, docente alla Nottingham Trent University, documenti come le più eminenti organizzazioni per i diritti umani, la quasi totalità di relatori e relatrici speciali dell’Onu, le maggiori autorità scientifiche mondiali, anche israeliane, sui genocidi nella storia, ritengono che tale crimine sia stato effettivamente commesso.

A sua volta la Corte internazionale di giustizia ha emanato - così lo studioso - «ben tre ordini consecutivi di misure cautelari contro violazioni della Convenzione sul genocidio, ritenute dunque triplicemente plausibili». Valutazioni difficili da accettare dall’opinione pubblica israeliana e dalle comunità ebraiche della diaspora, già tra loro divise e in molte loro componenti istintivamente portate alla propria esclusiva vittimizzazione, anche perché agisce quella che gli studiosi definiscono la «olocaustizzazione della memoria», ben al di là della strumentalizzazione della Shoah a fini di giustificazione.

Resta comunque che il nazionalismo della Destra israeliana, ma anche antiebraico di Hamas, si alimentano vicendevolmente, sino a rendere il conflitto in corso uno fra quelli che la terminologia accademica definisce «intrattabili», ovvero inconciliabili a motivo delle loro specifiche caratteristiche. Tra di esse, quella di essere incentrati su obiettivi considerati esistenziali da ambo le parti: la reciproca distruzione.

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