«Innamorati» di Hélène Delforge: un volume sull’amore e la vita vera

«Sai, gli scienziati hanno scoperto che l’amore dura tre anni». «Ah! E dire che noi ne abbiamo passati insieme trenta.». «Avrei potuto amare dieci uomini!». «Mi dispiace, puoi sempre recuperare...». «Dieci uomini. Che cosa mi sarei persa! Ho amato centinaia di te. Il ragazzo. Il papà che gioca. Il pazzo che attraversa tutta la città per portarmi un caffè. Il divoratore di biscotti appena sfornati. Il collezionista di oggetti. Il fusto in camicia a pois. Il marito che si commuove alla consegna dei premi. L’amante che ha capito tutto… Mi sarei persa ventisette anni di sorprese. Ventisette volte trecentosessantacinque mattine passate a commentare le notizie, senza contare gli anni bisestili. Ventisette volte trecentosessantacinque mattine a sorridere al tuo sorriso. Toh, hai un’altra fossetta nuova, lì: non la conoscevo.»
Uno più intenso dell’altro, i trentuno brani di: «Innamorati», Edizioni Terre di Mezzo, un volume di rara bellezza, che parla d’amore e di vita vera. Una mini-raccolta di brevi, deliziosi, componimenti poetici usciti dalla «penna» di Hélène Delforge e meravigliosamente illustrati dalla «matita a colori» del cognato, Quentin Gréban. Un libro da regalare nella settimana dell'amore o da regalarsi, così pieno di pagine da incorniciare.
«Abbiamo rimesso insieme i pezzi. Abbiamo ricomposto l’immagine, ricongiunto le nostre dita. La cicatrice rimane. La foto è segnata come noi. La foto è fragile, come noi. Ma la foto è preziosa, unica. Come noi. La tocchiamo con delicatezza, con cautela. Sappiamo che è fragile. Come noi. È tornata al suo posto nell’album della mia vita. Come te.»
Perché se è vero che non si può vivere senza conflitti è altrettanto vero che i conflitti richiedono tregue e cos'altro, se non la poesia, ci può condurre ad una tregua? Per «Abitare poeticamente il mondo» come ci insegna il compianto Christian Bobin, da ogni pagina delle sue opere (edite da AnimaMundi, testo a fronte in francese). Piccoli cammei cesellati di sapienza da tenere sul comodino e da leggere centellinandone ogni parola ed ogni frase come una medicina per l’anima. «Il prato è pieno di mille domande che attendono pazientemente una risposta», ci dice.
«La cometa dell’amore ci sfiora il cuore solo una volta per eternità. Occorre vegliare per vederla. Bisogna aspettare tanto, tanto, tanto. È questo lo stato naturale dell’amore. È questo il suo stato principesco, la meraviglia della sua natura: attendere, attendere, attendere. Il più lontano possibile dalla fretta e dal rumore. Il più lontano possibile da ogni crisi. Attendere con calma. Attendere con pazienza. L’amore, e la poesia che è la sua coscienza aerea, la sua più umile figura, il suo volto al risveglio, è profondità dell’attesa. Speranza dolce e profonda e luminosa».
Bobin ha attraversato l’esistenza così: condannato a percepire tutto, a «sentire» tutto, ha saputo cogliere la parte magica della vita e imbottigliarla per noi in forma di parola. Parole sapienti e lenitive che ti entrano dentro e ci restano a lungo: «Il mondo è pieno di visioni che attendono degli occhi» (…).
«Sulla strada che mi porta a casa, trovo a volte delle piume bluastre di ghiandaia (uccello che annuncia i temporali). È molto poco, quello che faccio. Cerco di raccogliere delle cose poverissime, apparentemente inutili, e portarle nel linguaggio»; «Prendo degli appunti su ciò che ha resistito ed è incomparabilmente grande, proprio perché ha resistito; il fulgore del giorno, la parola di un bimbo o un filo d’erba hanno trionfato sulle realtà peggiori. Io parlo in nome di queste cose piccolissime. Provo ad ascoltarle.»; «Chi impara a sentire il rapimento e la radianza delle cose, genera a sua volta radianza e rapimento e provoca destini». Ecco, cerchiamo di non dimenticarci mai di abitare poeticamente il mondo, qualsiasi cosa accada, un mattino alla volta.
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