Forze di pace in Ucraina, perché la Cina dice no

«La posizione della Cina sulla crisi in Ucraina è chiara e coerente»: l’epigrafica dichiarazione del portavoce del Ministero degli Esteri della Repubblica Popolare Cinese, Guo Jiakun, non ha lasciato spazio ad alcun tipo di interpretazione, spazzando via le speranze di coloro che auspicavano di raccogliere l’appoggio di Pechino alla proposta di invio di forze di pace in Ucraina. Tali speranze erano state alimentate, sul finire della settimana scorsa, da un articolo pubblicato dal quotidiano tedesco Die Welt, in cui veniva riportato come – secondo fonti diplomatiche non meglio identificate di stanza a Bruxelles – il presidente russo Putin, nonostante la sua ferma opposizione allo stanziamento di truppe dai paesi NATO in Ucraina, avrebbe potuto capitolare a questa eventualità nel caso in cui la Cina avesse preso parte allo sforzo diplomatico promosso da alcuni paesi europei.
Malgrado le smentite, l’idea non era totalmente implausibile; è necessario infatti ricordare come, nel tentativo di dare di sé una immagine di membro affidabile e responsabile della comunità internazionale, la Repubblica Popolare si stagli come il secondo contribuente in assoluto – alle spalle degli Stati Uniti – alle operazioni di peacekeeping promosse dalle Nazioni Unite, in particolare nel continente africano e in Medio Oriente, dove la Cina ha ampi interessi economici ma minori coinvolgimenti politici diretti. I cinesi, tuttavia, non hanno mai dimostrato alcun particolare interesse nel giocare il ruolo di «pacieri» in un conflitto regionale in assenza di un mandato specifico da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite: in questo senso, difficilmente la Russia – nella sua qualità di membro del Consiglio e quindi con potere di veto – potrebbe approvare qualsivoglia missione guidata dall’ONU che venga percepita come sfavorevole.
Dato il rifiuto della Russia nei confronti delle forze di peacekeeping europee e la propensione per il controllo della situazione alle sue condizioni, un’iniziativa di peacekeeping che coinvolga la Cina si troverebbe di fronte a un ostacolo diplomatico significativo. Senza un mandato ONU, la Cina non godrebbe del quadro giuridico e della giustificazione di cui ha solitamente bisogno per inviare truppe all’estero. Inoltre, i calcoli strategici della Cina rendono altamente improbabile il suo coinvolgimento nel panorama della sicurezza post-conflitto dell’Ucraina. Pechino ha cercato di gestire attentamente la guerra, mantenendo un delicato equilibrio nelle sue relazioni con la Russia, l’Ucraina e la più ampia comunità europea. Se, da un lato, Pechino ha sostenuto retoricamente l’integrità territoriale dell’Ucraina – anche e soprattutto in funzione della tradizionale politica di «non interferenza» negli altrui affari interni – dall’altro ha proceduto al netto rafforzamento dei legami economici e strategici con Mosca; inviare contingenti di pace in Ucraina rischierebbe di alienare la Russia, che Pechino considera un partner geopolitico cruciale contro l’influenza occidentale. Per la Cina, quindi, i costi di dispiegamento delle truppe superano di gran lunga qualsiasi vantaggio diplomatico.
La guerra in Ucraina, a differenza di altri teatri in cui Pechino ha partecipato al dispiegamento di forze di pace, è profondamente intrecciata con il posizionamento strategico della Cina in Eurasia; qualsiasi coinvolgimento, anche sotto un mandato di mantenimento della pace, rischierebbe di trascinare la Repubblica Popolare in una più ampia lotta geopolitica tra Russia e Occidente, qualcosa che Pechino ha cercato di evitare ad ogni costo. Finora, le iniziative diplomatiche di Pechino concernenti il conflitto si sono incentrate sulla mediazione. Nel 2023, la Cina lanciò la proposta di un piano di pace in 12 punti che enfatizzava il dialogo e la negoziazione; il piano fu seccamente respinto dalle nazioni occidentali che lo tacciarono di essere estremamente vago e privo di misure concrete atte a fermare il conflitto. Successivamente, la Cina ha proposto un piano di pace in sei punti con il Brasile, candidandosi a rappresentare il Sud del mondo nella risoluzione dei conflitti internazionali. Questi sforzi risultano certamente in linea con l’obiettivo più ampio della politica estera della Cina, e cioè presentarsi come mediatore neutrale in grado di facilitare il dialogo senza un coinvolgimento diretto.
L’invio di truppe di peacekeeping in Ucraina confuterebbe questa immagine attentamente elaborata e potrebbe minare la credibilità della Cina come mediatore imparziale. Anche da una prospettiva logistica militare, un dispiegamento cinese di peacekeeping in Ucraina presenterebbe sfide sostanziali. Le forze di peacekeeping cinesi sono ben addestrate per le missioni ONU, ma hanno un’esperienza limitata nelle operazioni in zone di conflitto attive in Europa. La complessità della guerra in Ucraina, caratterizzata da linee del fronte mutevoli, coinvolgimento per procura e animosità radicate, renderebbe qualsiasi missione di peacekeeping particolarmente difficile da gestire. A differenza delle operazioni relativamente stabili in nazioni africane come il Sud Sudan o la Repubblica Democratica del Congo, una missione in Ucraina comporterebbe molti più rischi e sensibilità politica. Anche le più ampie implicazioni geopolitiche di una presenza militare cinese in Ucraina non possono essere ignorate; è probabile, infatti, che gli Stati Uniti vedano con sospetto un dispiegamento cinese di peacekeeping, interpretandolo come un tentativo di Pechino di espandere la propria influenza nell’Europa orientale.
La riluttanza della Cina a inviare truppe di peacekeeping non si tradurrà però in un completo disinteresse nei confronti del conflitto ucraino. Al contrario, è probabile che Pechino continui a sostenere una risoluzione politica, sfruttando al contempo i suoi legami economici sia con la Russia sia con l’Ucraina. Sfruttando il suo posizionamento come gigante commerciale, la Cina ha una significativa leva economica che può utilizzare per influenzare gli sforzi di ricostruzione postbellica. Tale impegno economico, piuttosto che il coinvolgimento militare, è più in linea con gli interessi strategici a lungo termine di Pechino. In definitiva, malgrado l’idea di peacekeeper cinesi in Ucraina potrebbe trovare il gradimento di alcuni come un modo per portare equilibrio a un potenziale accordo postbellico, è altamente improbabile che ciò si materializzi, considerato che le priorità strategiche di Pechino, ovvero mantenere relazioni stabili con Mosca, evitare il coinvolgimento diretto nei conflitti europei e posizionarsi come mediatore neutrale, scoraggiano fortemente qualunque coinvolgimento militare.
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