La democrazia Usa, sabotata dallo stesso Trump

Negli Stati uniti d’America è in corso una torsione autoritaria: il presidente non solo non la dissimula, ma pare addirittura ostentarla
Il presidente degli Stati uniti d'America Donald Trump - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Il presidente degli Stati uniti d'America Donald Trump - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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È in corso una torsione autoritaria negli Stati Uniti che Trump non solo non dissimula ma in una certa misura ostenta. Procede accelerata a colpi di ordini esecutivi, con sfregi reiterati della legge e della Costituzione. Decreti presidenziali aboliscono agenzie federali istituite dal Congresso o tolgono loro quei finanziamenti la cui gestione spetterebbe anch’essa all’organo legislativo. Si pretende di modificare la Costituzione con una semplice firma del presidente. Si arrestano ed espellono persone senza incriminazioni formali. Si promuove un’opera sistematica d’intimidazione, licenziando funzionari pubblici, reprimendo il dissenso, ricattando media e università, minacciando i giudici. Camera e Senato, pur controllate da maggioranze repubblicane, vengono tenute largamente ai margini, per affermare l’indiscusso primato dell’Esecutivo ed esibire efficienza e decisionismo.

Di fronte a tutto ciò, la questione cruciale è se la democrazia americana abbia gli strumenti per reggere a questo assalto. Se disponga di «anticorpi» tali da sopportare il veleno autoritario che viene iniettato quotidianamente nel suo corpo.

Da quel che stiamo vedendo, è lecito nutrire più di un dubbio. È una democrazia vecchia, spossata e per molti aspetti malata, quella statunitense. E Trump è in fondo il prodotto di questa malattia: il Frankenstein uscito dal laboratorio di un sistema politico disfunzionale e polarizzato, e di un Paese incattivito e impaurito. Questi famosi «anticorpi» li dovremmo trovare in cinque ambiti istituzionali, politici e sociali: i pesi e i contrappesi dell’equilibrio di poteri; la Costituzione e la legge; il federalismo; la società civile; il voto.

Esposto all’urto dell’autoritarismo trumpiano, ognuno di essi sembra traballare e mostrare fragilità talora inattese. In soli due mesi abbiamo assistito a una prima, significativa alterazione dei rapporti tra i poteri, con l’accentramento di prerogative e competenze nell’Esecutivo e la marginalizzazione di un Congresso, dove i repubblicani tacciono ossequienti, consapevoli che contestare oggi Trump vorrebbe dire la fine della loro esperienza politica. È molto attivo invece il potere giudiziario, perché non si può tacere di fronte ai reiterati sfregi legali e costituzionali di Trump, i giudici sono più indipendenti e una maggioranza di questi non sono stati nominati da Trump. E però le pressioni e minacce sui giudici del Presidente e degli uomini a lui vicini si stanno facendo ogni giorno più intense, la Corte Suprema ha una chiara maggioranza conservatrice, e Trump ha già iniziato a non rispettare le ingiunzioni delle corti, ponendo di fatto le premesse per una crisi costituzionale.

Legge e Costituzione sembrano poter poco, insomma. La seconda, nel suo corpo ossuto e anacronistico, rivela tutta la sua debolezza di fonte a un Presidente che non la conosce né rispetta e gode, grazie a una decisione della Corte Suprema dell’anno scorso, di una immunità amplissima nell’esercizio delle sue funzioni. Le leggi vengono modificate ovvero risultano insostanziali nel momento in cui le strutture e le persone preposte a garantirne l’applicazione sono rimosse dal loro incarico (come è stato per gli ispettori generali di numerose agenzie governative).

Vi sarebbero il federalismo e la società civile. La seconda si mobilita però con fatica, prostrata da anni di tensioni e divisioni, e – soprattutto – oggi apertamente intimidita. Per quale motivo un insegnante o un qualche dipendente pubblico dovrebbe rischiare il proprio lavoro se potenti media, studi legali e ricche università capitolano immediatamente ai ricatti di Trump? Quanto al federalismo, è vero che i democratici controllano Stati importanti – dalla California a New York, dall’Illinois e al Michigan – ma col governo federale si devono in fondo relazionare per ottenere una parte cospicua delle risorse con cui finanziano attività fondamentali, dall’istruzione alla sanità alle infrastrutture.

Restano, in ultimo, le elezioni e l’impopolarità di Trump: presidente, a volte lo si dimentica, dai tassi di consenso più bassi nella storia. A partire dai voti prossimi, dall’importante elezione per un giudice della Corte Suprema del Wisconsin, il 1 aprile, al midterm del 2026. Per i quali l’opposizione dovrà mobilitarsi assai meglio per fronteggiare lo straordinario fuoco di fila promosso dai grandi interessi economici oggi schierati a fianco di Trump (nella sola elezione in Wisconsin, Musk ha già messo a disposizione del candidato repubblicano più di dieci milioni di dollari). E il cui eventuale esito negativo, come abbiamo drammaticamente scoperto nel 2020, non è certo che Trump rispetti.

Mario Del Pero, Docente di Storia internazionale, Sciences Po Parigi

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