Santanchè spina nel fianco del governo: rimpasto sempre rinviato

Il «caso Santanchè» è sempre stato una spina nel fianco del governo Meloni, già dal tempo in cui è stata decisa la nomina dell’imprenditrice a ministro del Turismo. Tuttavia, l’opportunità politica e il peso specifico della Santanchè in Fratelli d’Italia hanno suggerito una cauta attesa silente, perfettamente compatibile con la linea che la Meloni si è data: nessun rimpasto se non è assolutamente necessario. Attualmente, la poltrona della Santanchè traballa, perciò non si può rinviare una riflessione che solo la premier deve fare.
Il rimpastino non sarebbe un problema, anche se i precedenti suggeriscono di rinviare: ce ne sono già stati due (Fitto e Sangiuliano hanno lasciato il posto a Foti e Giuli) che sono stati gestiti come singoli avvicendamenti «di necessità». Inserirli in quadro più ampio avrebbe provocato un sommovimento generale, con richieste da parte degli alleati (Salvini, per esempio, non pensa ad altro che tornare a fare il ministro dell’Interno, illudendosi di recuperare i voti del 2019) e magari pure un passaggio al Quirinale per una crisi pilotata. Ecco il punto: la Meloni vuole a tutti i costi che il suo sia un governo di legislatura; quindi, minimizza gli scossoni e i cambiamenti perché non vuole crisi. Quindi, un «mono-rimpasto» non è un problema, se si segue il percorso utilizzato per i due precedenti.
In più, la sostituzione di un ministro non crea guai, proprio come negli altri casi, perché si tratta anche per la Santanchè di un esponente di FdI: quindi, la Meloni pesca in casa il successore (che al Turismo sarebbe già pronto) di uno/una dei suoi. Tutto semplice, dunque, ma non è detto. C’è un punto delicato: mentre nel caso di Fitto la sostituzione era dovuta alla promozione a commissario europeo e in quello di Sangiuliano a un caso un po’ particolare ma senza risvolti penali, l’«affaire Santanchè» è zeppo di procedimenti giudiziari e di inchieste su fatti che - se riconosciuti veri - sono gravi.
È più facile tenere al governo una persona che può avere compiuto più reati oppure disfarsene, col rischio di aver peccato di giustizialismo e aver dato – con l’avvicendamento – una soddisfazione alle opposizioni? C’è dunque un problema d’immagine, stavolta: si tratta di sostituire qualcuno accusato di fatti gravi e che – peraltro – ha anche un certo peso in FdI. È peggio la toppa o il buco? Per questo, la Meloni riflette, osserva gli sviluppi, attende il fatto o l’atto (giudiziario) decisivo, per effettuare la sostituzione. L’opinione pubblica – si è capito in tutta la Seconda Repubblica, ormai – non fa caso a queste cose, anche perché ha una pessima opinione dei politici e non si meraviglia se sono accusati di qualcosa. Quindi è possibile, a meno di svolte repentine, che Meloni segua il motto latino «quieta non movere et mota quietare».
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