Il cane al tavolo del ristorante? Anche no, grazie

L’opinione di un’amante degli animali, ma non della maleducazione dei padroni. «L’imposizione a tutti di abitudini e vezzi privati è scorretta»
Un barboncino sulla sedia di un locale
Un barboncino sulla sedia di un locale
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Da Rocky a Hollie li ho sempre amati. Rocky: un boxer col brutto muso dei boxer e una gran voglia di giocare, il primo cane con cui ho fatto amicizia da bambina. Hollie: la meticcia che vive in casa di cari amici, e ogni volta che li andiamo a trovare ci viene incontro scodinzolando. Ho sempre amato i cani. Negli ultimi tempi, però, qualcosa è cambiato.

Grappoli e grovigli di guinzagli sui marciapiedi mi sbarrano il passo, c’è chi abbaia e chi si annusa sotto lo sguardo compiaciuto di padroni che si tengono in disparte per lasciarli socializzare oppure no, socializzano anche loro, del resto gli argomenti di conversazione non mancano: come si chiama? Quanti anni ha? Il peso? È un golosone ma ha i suoi gusti, sa. E poi: è vivacissimo, un gran pigro, buonaccione, fa certi capricci…

Sono in un piccolo negozio della città in un giorno di pioggia, entra uno splendido pastore maremmano, il pelo fradicio. Come sei bello – vorrei dirgli – ma non ne ho il tempo: si scrolla l’acqua di dosso bagnandomi tutta; allora alzo gli occhi sul suo accompagnatore umano immaginando che si scuserà per la doccia imprevista. Niente.

Dal panettiere, la signora che aspetta di essere servita accanto a me tiene in braccio un fagottino; lo scruto con istintiva simpatia, cercando il viso del bambino che ancora non cammina o si è fatto sollevare per scegliere un biscotto appena sfornato; e invece scorgo un chihuahua col cappotto che alita su focacce e brioche nell’indifferenza generale. Solo io provo sollievo constatando che il pane che sono venuta a comprare si trova dall’altra parte del bancone?

E sono l’unica, sul treno, a pensare che qualcuno potrebbe sentirsi a disagio, o addirittura impaurito, al cospetto di quel cane di grossa taglia che occupa un sedile sconfinando di qua e di là con la lingua gocciolante?

Sembra proprio così, e intanto cresce in me un fastidio che non conoscevo e mi dispiace, e raggiunge il culmine al ristorante, quando mi ritrovo a tavola con un barboncino. La padrona lo tiene sulle ginocchia, lui ha il muso appoggiato sul piatto, a venti centimetri da me. Tutto bene?, mi chiedono poi alla cassa. Non proprio, oso dire: ho mangiato con un cane. Mi rispondono sorridendo che ormai i cani sono parte della famiglia. Come se fosse una novità. La novità è piuttosto un’altra: è l’imposizione a tutti di abitudini e vezzi privati, una forma di maleducazione mascherata da amore per gli animali. Quel sentimento che anch’io continuo a nutrire nonostante sia messo a dura prova.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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