Usanze bresciane. Nel mese di marzo quanta allegria

Lettere al direttore
AA
Nella mia giovinezza ricordo con piacere una tradizione ormai estinta dal progresso sempre più incombente. Nel mese di marzo, nelle serate primaverili dolci e tiepide, ci si riuniva nelle contrade di «Mulinèt de Mazà» con grossi barattoli di conserva o vecchie pentole ormai inservibili e andavamo di fronte alle case delle ragazze a «maritarle» in un dialetto nostrano e comprensibile. Era il «ciòca marso di questa tèra per maritare la sceta bela, chela ch'è noèla», dicevamo il nome della fortunata e la davamo in sposa, con il fragore dei suddetti strumenti, con un baccano indescrivibile, tra le risate e il sano divertimento, al più sfortunato del paese per prenderle in giro. Loro accettavano con le loro famiglie questa goliardia allegramente! Ne ho parlato con diverse persone qui a Brescia città ma con stupore non sapevano del fatto, ormai andato nel dimenticatoio come tante tradizioni. Evviva la tradizione e la mia passata splendida gioventù.
Osvaldo Alberti
Caro Osvaldo, non ci sono più le mezze stagioni - quest’anno per la verità sì: tra schiarite, scorci di sole, nuvoloni all’orizzonte e improvvisi scrosci, marzo s’è vestito proprio di marzo - e anche delle tradizioni si smarrisce traccia. Che pochi ricordino ciò che lei rammenta non ci stupisce. Il bello è proprio farne memoria e, insieme, essere consapevoli di quanto poco bastasse per esser lieti in un tempo in cui la necessità era virtù e la semplicità un lusso che difficilmente riusciamo a permetterci ora. P.S. Grazie al «nostro» Fabrizio Galvagni, successore del sempre «nostro» Massimo Lanzini come curatore di Dialèktika, abbiamo trovato traccia di questa usanza in un vecchio volume di Ugo Vaglia, intitolato: «Curiosità e leggende valsabbine». Tralasciamo le pagine descrittive, citando però la frase finale, che merita poiché conferma il desiderio di allegria, di leggerezza, insito perennemente nell’essere umano: «Si preferiscono quelle della prima e dell’ultima settimana del mese, ma tutte le sere di marzo sono atte allo scherzo». (g. bar.)
Caro Osvaldo, non ci sono più le mezze stagioni - quest’anno per la verità sì: tra schiarite, scorci di sole, nuvoloni all’orizzonte e improvvisi scrosci, marzo s’è vestito proprio di marzo - e anche delle tradizioni si smarrisce traccia. Che pochi ricordino ciò che lei rammenta non ci stupisce. Il bello è proprio farne memoria e, insieme, essere consapevoli di quanto poco bastasse per esser lieti in un tempo in cui la necessità era virtù e la semplicità un lusso che difficilmente riusciamo a permetterci ora. P.S. Grazie al «nostro» Fabrizio Galvagni, successore del sempre «nostro» Massimo Lanzini come curatore di Dialèktika, abbiamo trovato traccia di questa usanza in un vecchio volume di Ugo Vaglia, intitolato: «Curiosità e leggende valsabbine». Tralasciamo le pagine descrittive, citando però la frase finale, che merita poiché conferma il desiderio di allegria, di leggerezza, insito perennemente nell’essere umano: «Si preferiscono quelle della prima e dell’ultima settimana del mese, ma tutte le sere di marzo sono atte allo scherzo». (g. bar.)
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