Tra madri e padri separati, nessuno deve valere meno

Sono la nonna paterna di una bambina di soli due anni che dall’agosto scorso vedo solo sporadicamente, nel corso della manciata di ore concesse dal Tribunale a mio figlio durante la settimana. Da fine febbraio, mio figlio può vedere la sua bambina solo due pomeriggi a settimana, dopo il nido e il sabato, ma senza alcuna possibilità di tenerla a dormire. Secondo il Tribunale solo al compimento dei tre anni della piccola si potrà cominciare a parlare di due notti al mese. Verrebbe spontaneo domandarsi di quale colpa si sia macchiato mio figlio, per subire una tale limitazione di tempo: nessuna! Il provvedimento è immotivato e si arrocca sul criterio dell’età della bambina, laddove, senza alcuna plausibile ragione e senza alcuna preventiva osservazione del rapporto padre-figlia, si è limitato sinteticamente a prevedere che la mia adorata nipotina potrà stare con il papà, oltre a due pomeriggi alla settimana, «sino al compimento dei tre anni tutti i sabati dalle 8.00 fino a sera, alle 20.00, dopo cena», ma senza poter trascorrere alcuna notte con lei. Mio figlio vorrebbe poter fare il padre, in condizioni di parità con la madre e perché gli viene impedito? Perché deve battagliare nelle aule di un Tribunale per vedersi riconosciuta la possibilità di fare il padre? Solo perché è maschio e la bambina ha meno di tre anni. Non posso nascondere la mia delusione ed il rammarico nel constatare l’applicazione da parte dell’Autorità Giudiziaria di un vero e proprio pregiudizio di genere che preclude a mio figlio la possibilità di costruire con sua figlia un rapporto pieno e completo. Tralascio di commentare il calvario che ha condotto mio figlio nelle aule di giurisdizione - a partire dalle denunce della madre, archiviate senza alcun indugio dalla Procura - ma non posso parlare di «giustizia» se, da un lato, si penalizza senza ragione un papà e, dall’altro, si comprime il diritto di una bambina di frequentarlo nelle stesse condizioni della mamma. Dov’è finito il rispetto dei principi di uguaglianza, dignità e parità di genere previsti dalla Costituzione? È giusto che una bambina possa crescere con un papà marginalizzato ed emarginato dalla sua vita? Si tutelano i diritti della bambina, impedendole, senza che sussista alcuna valida motivazione - se non un pregiudizio sessista - di frequentare il papà in condizioni di parità di tempo con la mamma, ma anzi alimentando un gioco di potere di un genitore rispetto all’altro? Già, perché questi provvedimenti non fanno che avallare i gesti di prepotenza e di prevaricazione di un genitore - in questo caso la mamma - che auto qualificandosi come il «genitore migliore» ha trovato nel provvedimento del Tribunale il benestare alla sua decisione di sottrarre la piccola al papà, incurante del legame affettivo esistente con la bambina. Ho insegnato a mio figlio che tutti gli esseri umani nascono in pari dignità e diritti, ma nel provvedimento del Tribunale di questi principi universali non c’è traccia. Sono stati abrogati? Il provvedimento non ne fa menzione. Anzi afferma, in tal modo, che un genitore maschio «vale meno», «non è in grado», «non può» occuparsi di una figlia. E io vorrei comprenderne la ragione. Una bambina, con le beghe dei genitori, non ha nulla a che vedere, né le decisioni del Tribunale rispetto al rapporto matrimoniale possono dare ingresso a ricadute sbilanciate nel rapporto genitoriale, ai danni di una piccola che, oltretutto, con il papà, nonostante la tenera età, ha già sin qui costruito un rapporto affettivo intenso ed affettuoso, bruscamente interrotto nel corso della crisi coniugale. Inutile, allora, sprecare il fiato ad insegnare a scuola il rispetto dei principi di uguaglianza e parità se, poi, nel silenzio, un padre viene emarginato ed escluso dalla vita di sua figlia, educata, con il placet del magistrato, che i due genitori «non sono sullo stesso piano». Ma questo silenzio, io, da nonna addolorata, voglio romperlo e gridare il mio sdegno di fronte ad una decisione giudiziale che penalizza un padre, senza alcuna ragione, perché se vuole vivere in una società che insegni concretamente il rispetto della persona, a prescindere dal genere, occorre, prima di tutto, restituire - nelle aule di Tribunale - dignità e parità a ciascun genitore.
Lettera firmataCarissima, il suo è il grido di una nonna e madre ferita. Lo registriamo così, muovendoci in punta di piedi, considerata la delicatezza dell’argomento, ponendo una questione generale e una preoccupazione personale. La preoccupazione personale riguarda il benessere della sua nipotina, la quale nelle reciproche e comprensibili rivendicazioni rischia di rimanere schiacciata. Per questo l’appello che ci viene dal cuore è quello di spostare il baricentro da ciò che è equo a ciò che è giusto. Non per voi, bensì per la piccola, affinché cresca senza continui braccio di ferro su chi deve prendersene cura. Alla sua ex nuora diciamo allora che, al di qua delle proprie ragioni, l’ex coniuge è e sarà sempre il padre della bambina, per cui ogni tentativo di ostacolare un rapporto equilibrato potrebbe in futuro, quando la figlia sarà grande e in grado di formarsi un’opinione autonoma, trasformarsi in un boomerang. Per lei e suo figlio invece l’invito è di accantonare frustrazione e rabbia, sapendo che in certi casi «amore» si declina con «rinuncia» e, per duro che sia, meglio poche ore in un contesto di armonia, che molte spese in una guerra continua. La questione generale, invece, riguarda la parità di genere e le implicazioni che essa comporta in ogni ambito, compresa la genitorialità. A una mutata sensibilità per quanto riguarda diritti e doveri tra uomo e donna, deve rispondere una nuova considerazione dei ruoli e della capacità di accudimento di figli e figlie? Domanda ardua, per la quale occorrerebbe assai più che lo spazio di una lettera. Ciascuno dia, secondo coscienza e in cuor suo, una risposta. (g. bar.)
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