Storie di giovani e vite «prigioniere» della guerra
Alla vigilia del 25 luglio, data che nel 1943 sentenziò la fine del fascismo in Italia, i massimi storici si interpellano sempre sul significato e sui fatti di quel giorno ed allora anche noi, appassionati di storia locale, vogliamo contribuire a narrare fatti avvenuti e che possono aiutare a comprendere quale sollievo abbia portato in taluni quel fatto, pur senza nascondere che molti altri dubbi andavano formandosi. La storia è quella di un soldato lonatese: il Fante Giovanni Bellini, classe 1911, che dopo aver fatto il servizio di leva e dopo essere stato richiamato per la campagna d'Etiopia, nel 1943 all’età di 32 anni si ritrovava ancora in guerra con a casa una moglie ed un figlioletto da far crescere. La sua vicenda è inclusa in un lavoro sui dispersi di guerra lonatesi e proprio il figlio ci ha aiutato a comprendere certi documenti ed a spiegarci quanto accadde al padre in quell'estate. Giovanni Bellini, con il 259° Reggimento Fanteria, era dislocato in Jugoslavia e la sua unità, nel mese di febbraio 1943, venne travolta dalle forze partigiane jugoslave dell'Erzegovina contro le quali italiani e tedeschi avevano lanciato un’azzardata offensiva invernale: si trattò della famosa battaglia della Neretva. Per gli italiani fu una sonora sconfitta nascosta solo dai ben più tragici avvenimenti del Fronte russo. Moltissimi soldati italiani che presidiavano i villaggi montani furono circondati e catturati, mentre chi poteva si ritirava verso le città principali e la costa. Giovanni Bellini restò nelle mani dei partigiani e venne dichiarato disperso. La divisione Murge, cui il 259° Fanteria apparteneva, all'inizio degli scontri contava 9.500 uomini ed alla fine aveva avuto 2.500 perdite tra morti e dispersi. Giovanni Bellini fu chiamato ad una scelta: o aiutare i partigiani con attività di manovalanza né più né meno come tutti i militari prigionieri erano chiamati a fare, oppure rifiutarsi ed accettare di essere fucilato. Bastò il pensiero della famiglia a convincerlo a collaborare e così passò alcuni mesi a tagliar legna e svolgere mansioni pesanti per le forze partigiane Jugoslave mentre la guerra continuava. Naturalmente nessuna informazione venne inoltrata al Regio Esercito e così Giovanni continuò ad essere considerato disperso e non prigioniero. Le cose cambiarono al 25 luglio 1943. Anche i partigiani seppero che Mussolini era stato destituito e gli parve evidente che la guerra, almeno per gli italiani, era finita. Senza attendere di saperne di più decisero di liberare Giovanni Bellini che, contentissimo anche lui, rientrò al suo reparto. Ma le speranze dei partigiani e del soldato lonatese non si avverarono. I partigiani scoprirono presto che la «guerra continuava» e Giovanni Bellini rischiò di essere trattato da disertore date le modalità con cui era stato in prigionia ed aveva fatto rientro. Fortunatamente la situazione si ricompose, forse i Comandi compresero la situazione ed infine Giovanni Bellini riuscì a ritornare a casa dopo l'8 settembre 1943 sfuggendo anche alla cattura da parte dei tedeschi. Ecco come la ricorrenza del 25 luglio 1943, ritenuta di festa e di sollievo, divenne invece presto giornata di incubo per molti.
// Morando PeriniAssociazione Nazionale del Fante Sezione di Lonato del Garda
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