Società inclusiva, diritto alla privacy e le scelte «giuste»

Lettere al direttore
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V

olevo condividere il mio pensiero riguardo l’articolo: «Lavoro ed inclusione...» apparso sul Giornale di Brescia giovedì 12 settembre 2024.

Matteo, assunto al McDonald’s di Desenzano fa notizia. Forse non proprio Matteo, ma la multinazionale in questione che promuove l’inclusione. Sia chiaro che è una bella notizia ma il punto non è questo. L’inclusione sociale è l’azione volta a garantire l’inserimento di ciascun individuo all’interno della società indipendentemente dalla presenza di elementi che differenziano gli uni dagli altri e che possono apparire limitanti. Abbraccia numerosi aspetti e ambiti tra i quali l’inclusione scolastica e lavorativa. Il concetto di inclusione viene ripreso dall’Universal design, termine coniato da Ronald Mace per descrivere l’idea di progettazione ideale di tutti prodotti e ambienti (e aggiungiamo anche processi) che siano piacevoli e fruibili in autonomia da chiunque, indipendentemente dall’età, dalla capacità e/o dalla condizione sociale. Matteo è un ragazzo di quasi trent’anni (così si legge nell’articolo), affetto da un ritardo cognitivo che non ha compromesso la maturazione di competenze che gli permettono l’autonomia di svolgere dei compiti richiesti dal datore di lavoro. Perché esplicitarlo e renderlo pubblico (con tanto di foto e di nome)? Non siamo una civiltà inclusiva? Vengono forse pubblicati articoli e fotografie di tutte le persone che hanno e fanno le loro fatiche quotidiane per raggiungere delle autonomie o competenze? Non dovrebbe essere, la cosa in questione, un fatto assolutamente naturale e civile in una società che si dichiara inclusiva e attenta? E che ne è stato della privacy? Prestiamo attenzione a non menzionare nomi di persone poco per bene, di prodotti denunciati a danno dei consumatori e dei cittadini, di locali chiusi perché non a norma e, mi permetta, con questo modo di fare, continuiamo a far percepire che le cose (che dovrebbero essere?) normali diventino l’eccezione e non il contrario.

Non mi fraintenda. Sono e siamo super felici per Matteo e per tutte le ragazze e i ragazzi che arrivano al loro obiettivo. Si tratta di rispetto alla persona e alla valorizzazione del proprio potenziale.
Annamaria Ferrari

C

ara Annamaria,

comprendiamo i suoi scrupoli e lo spirito con cui sono posti. È un argomento delicato, per il quale non pretendiamo di sederci dalla parte della ragione, preferendo interrogarci con lei e anche grazie a lei su «giusto» e «sbagliato», consapevoli che si tratta di una questione culturale e mutevole nel tempo.

Premesso questo, vorremmo ribaltare la questione. D’accordo entrambi sul valore di una civiltà inclusiva, perché omettere - previo il parere favorevole suo o della famiglia che ne ha cura, ovviamente - il nome o la malattia di una persona? È forse qualcosa di brutto o di cattivo da nascondere oppure, come per altro auspica lei, è «un fatto assolutamente naturale e civile», per il quale non adottare comportamento differentemente usato nei confronti di tutti?

In casi come quello citato, la «privacy» che lei invoca è un diritto a tutela di chi non vuole far conoscere qualcosa di sé, non un bavaglio se preferisce invece metterne gli altri a conoscenza. La differenza non è sottile e per noi resta dirimente quando si tratta di fare una scelta. (g. bar.)

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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